L’undici agosto, gli appassionati di calcio tedesco e non solo sono entrati in contatto con il fascino e la storia del Makkabi Berlin: nato nel 1970 su iniziativa di alcuni superstiti dell’Olocausto, il club ha raccolto fin da subito l’eredità del Bar Kochba Berlin, compagine fondato nel 1898 per promuovere la partecipazione degli ebrei allo sport e che, all’apice della sua popolarità, prima della salita al potere di Adolf Hitler, contava oltre 40mila iscritti, pur militando nelle categorie inferiori berlinesi. Quest’anno il Makkabi si è, però, aggiudicato l’edizione della Berliner Landespokal – la Coppa dello Stato di Berlino – e ha ottenuto in questo modo la possibilità di scendere in campo per il primo turno della DFB Pokal 2023/24, la Coppa di Germania.
È diventata così la prima società di calcio esplicitamente ebrea-tedesca ad aver disputato una partita di una competizione professionistica, ovviamente mantenendo lo status dilettantistico. Il Makkabi milita attualmente nella Fußball-Oberliga Nordost, quinta divisione tedesca. La sconfitta contro il Wolfsburg (0-6) era inevitabile, ma ci sono match in cui ciò che recita il tabellone al triplice fischio passa in secondo piano.
Ecco, il clima di magia che da allora ha accompagnato il Makkabi Berlin si è bruscamente volatilizzato da qualche giorno: il club ha, infatti, deliberato l’interruzione delle proprie attività a seguito dell’escalation tra Israele e Hamas. La dirigenza del Neusterlitz, la squadra che avrebbe dovuto affrontare il Maccabi nella prossima gara di Oberliga Nordost, ha rilasciato un comunicato nel quale afferma che
«gli attacchi contro il mondo ebraico non lasciano altra scelta al club: devono mettere lo sport in secondo piano per il prossimo futuro».
Di conseguenza, è stata annullata anche la gara della Berliner Landespokal, di cui il Makkabi è campione uscente, contro il Berolina Stralau. La ripresa degli allenamenti è stata rinviata a data da destinarsi.
Nell’area di Berlino non ci sono, dunque, più le condizioni affinché i giocatori di una squadra dichiaratamente ebrea possano tirare calci ad un pallone. Alon Meyer, presidente del Makkabi Deutschland, associazione che si occupa del coordinamento dello sport ebraico, è stato intervistato dal quotidiano francofortese Faz e ha dichiarato che
«le misure prese nella capitale sono state più drastiche rispetto a quelle entrate in vigore nelle altre città. Non possiamo fare altro che fermarci. Questa è una sconfitta per tutta la Germania, per i valori democratici di questo Paese».
Il problema principale è la sicurezza delle persone, come ha confidato il capitano Doron Bruck al quotidiano della capitale Tagesspiegel:
«Anche se giochiamo in quinta divisione, siamo comunque potenziali bersagli per possibili attacchi. Non possiamo correre questo rischio».
In altre città tedesche come Francoforte, le attività legate all’associazione Makkabi stanno proseguendo con imponenti misure di sicurezza.
Il Makkabi, in effetti, trasmette simboli e valori inequivocabili: nello stemma del club campeggia la stella di David e i colori sociali riprendono quelli della bandiera di Israele. Parallelamente, la rosa è multietnica. Il capitano Bruck ha raccontato: «Io e i miei compagni formiamo una squadra molto varia, proveniamo da 16 nazioni diverse». Tra i vari angoli di mondo che si possono incontrare all’interno dello spogliatoio del Makkabi Berlin fanno capolino la Thailandia, il Mali, il Gambia e, persino, il Madagascar. Questo, però, non cambia lo stato dell’arte: Berlino è considerata una città a rischio per qualsiasi manifestazione che rimandi a Israele, al punto che gli ebrei residenti in città stanno disertando le sinagoghe e rinunciando a indossare la kippah per paura di essere oggetto di attacchi.
Il calcio ha un ruolo di primissimo piano in questo conflitto ideologico anche dall’altra parte della barricata: nel corso dell’ultima gara del Persepolis, squadra di Teheran tra le più seguite nel continente asiatico, i tifosi di casa hanno preso a cantare cori di scherno in risposta all’esibizione di un vessillo rosso, nero, bianco e verde. Un gesto di plateale dissenso nei confronti del regime dell’ayatollah Ali Khamenei che supporta gli attacchi di Hamas. La distanza tra il governo iraniano e il suo stesso popolo non è mai stata così ampia e i dissidenti hanno approfittato della situazione di instabilità internazionale per rialzare la testa e contestare le politiche finanziarie dei leader islamici. Gli iraniani disprezzano il fatto che il regime invii miliardi di dollari a Hamas e Hezbollah per sostenere il terrorismo, mentre nel frattempo si rifiuta di investire in sanità, istruzione, infrastrutture.
Le voci secondo cui l’Iran avrebbe recitato una parte nel pianificare gli ultimi attacchi di Hamas non aiutano a creare un clima di confronto civile e costruttivo. La tensione resta alle stelle. Anche perché l’essenza stessa e la storia del Persepolis – considerata la “squadra del popolo”, mentre i rivali dell’Esteghlal, club allenato anche dal nostro Andrea Stramaccioni, sono visti come un club più vicino al regime – dipinge prospettive piuttosto chiare.