Curtis Jerrells ha realizzato 30 punti al debutto con la maglia di Milano guidandola al successo sul campo dei campioni di Spagna di Valencia dopo una rimonta da -17 e due supplementari. Non è la prima volta che i destini di Jerrells e dell’Armani si incrociano: fu lui, nel 2014, con una tripla allo scadere, a strappare dalla maglia di Siena l’ennesimo scudetto già praticamente conquistato, per regalarlo dopo 18 anni a Milano in quella che resta, secondo me, la migliore Olimpia dell’era Armani. O, meglio, sono i risultati a dirlo: quella squadra perse la coppa Italia ma vinse uno scudetto storico centrando i playoff d’Eurolega in cui venne sconfitta dal Maccabi poi campione. Come si è comportata Milano in Europa nelle tre stagioni successive, lo sapete (20 vittorie, 44 sconfitte…). Jerrells rappresenta anche un simbolo dei problemi della società di Giorgio Armani negli anni: dopo un inizio di stagione problematico anche legato a un cattivo riconoscimento del suo ruolo, non è certo un regista “puro”, Curtis nella seconda parte della stagione 2014 rappresentò, soprattutto in Europa, l’anima anche difensiva di una squadra di talento (Langford, Samuels motivato, un Moss ancora fresco e poi Hackett e Gentile in grande crescita) fino all’apoteosi del tiro decisivo contro Siena. Ma non sono i punti la caratteristica per la quale deve essere valutato, anche se sa segnare, e anche molto.
Restai francamente molto sorpreso quando l’Olimpia non lo confermò, spiegando la cosa con 100 mila dollari di differenza tra la domanda e l’offerta. I giocatori che ti fanno vincere sono una razza talmente rara che quando hai la fortuna di trovarne uno, non devi risparmiare o ragionare con logiche aziendaliste. E Milano ha pagato l’assenza di un leader anche nelle cose piccole che fanno vincere e non finiscono per forza sullo scout, anche nelle stagioni successive. Per questo oggi Jerrells è tornato, dopo aver guadagnato bene in Russia e vinto il titolo israeliano con Pianigiani a Gerusalemme: non aspettiamoci che faccia sempre 30 punti, non è il suo lavoro, ma basta vedere come ha marcato Eric Green, togliendolo dalla partita nei momenti decisivi, per capire che di un uomo così qualsiasi squadra avrebbe sempre bisogno e soprattutto chi, come Milano, ha tante armi ma poca continuità mentale ad alto livello. Era stato un delitto spingerlo ad andare via senza capirne appieno il valore.
Credo che il discorso sia pertinente col primato di Brescia, imbattuta, in testa alla classifica di serie A. Anche in questo caso, non ci si deve aspettare che la fuga della Germani possa durare per 30 partite ma una partenza così, anche a livello mentale, potrà garantirle di restare protagonista fino alla fine, che significa disputare i playoff. Ma aver evitato, dopo una stagione molto positiva come già era stata la scorsa, di perdere Marcus Landry, miglior giocatore del campionato, e Luca Vitali, confermando un nucleo che ha dimostrato grandi qualità anche intellettuali, è la chiave del primato: non è facile trattenere i migliori per chi non è un top club a livello economico, Brescia c’è riuscita. In più, cosa che viene spesso sottovalutata, Andrea Diana fa giocare la sua squadra in modo davvero differente, non tanto in attacco, dove l’originalità sta nelle qualità dei passaggi di Luca Vitali, quanto in difesa, quasi sempre a zona matchup.
Ci vuole una grande sintonia tra i giocatori perché funzioni anche se fondamentale è speculare sulle debolezze di molti avversari, spesso americani, che davanti a cose inusuali perdono il ritmo dettato solo dagli infiniti pick and roll. Qualcuno capirà come far saltare una difesa che, come tutte, ha mille punti deboli? La storia dei campionati recenti dimostra che le grandi imprese, come sono state quelle di Sassari e Venezia tricolori, sono nate da una interpretazione originale della pallacanestro, soprattutto offensiva del Banco di Sardegna (ma nei possessi decisivi per lo scudetto, i difensori della Dinamo erano assatanati), più legata alle tattiche difensive quella della Reyer di De Raffaele. Tattiche ben chiare anche nella Brescia di Diana, che perde pochissimi palloni, rinuncia ai rimbalzi offensivi per non sbilanciare gli equilibri difensivi, specula sulle caratteristiche negative degli avversari.
Insomma, non bastano i buoni giocatori, ci vuole qualcosa in più per vincere, morale e tecnico. Quando lo trovi, devi fare di tutto per non buttarlo via.
Luca Chiabotti
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