Bloooog!
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Via agli assurdi, inaccettabili e odiosi Mondiali in Qatar. Un Mondiale giocato in un paese dove i diritti umani sono calpestati, 6500 lavoratori immigrati sono morti nella costruzione degli avveniristici stadi, i gay e le donne discriminati per legge, l’omosessualità ritenuta “una malattia mentale”, un emirato dove vige la legge della Sharia che consente di punire l’adulterio con 100 frustate e dispensare la pena di morte. La Fifa, colossale lobby affaristica mondiale, ha chiuso gli occhi di fronte al gigantesco business. Il Qatar ha speso oltre 200 miliardi per accreditarsi presso il mondo occidentale. Gianni Infantino, presidente della Fifa, raccomanda egoisticamente di pensare solo al calcio, di non protestare o manifestare il proprio dissenso con vessilli arcobaleno e simili. Nell’ultimo Europeo in Inghilterra i calciatori si batterono magnificamente inginocchiandosi durante gli inni nazionali a testimonianza del sostegno alla lotta contro la “discriminazione razziale”. Perché Kane, Lukaku e tutti gli altri non possono rifarlo adesso? Perché non dare un preciso segnale al mondo? Insomma basta un po’ di coraggio e non prostituirsi alla brutale legge del business.
E’ un Mondiale odioso. Giocato in un paese dove non si rispettano i diritti umani. Ma quello in Qatar è un colossale business, e lì dove il business soddisfa quella gran macchina lobbistica e affaristica della Fifa i diritti umani vengono dopo.
IL BUSINESS E I DIRITTI VIOLATI
Nel Mondiale l’emirato ha investito oltre 200 miliardi di dollari, un’operazione colossale di accreditamento presso il mondo occidentale – così come storicamente accade sempre da un secolo con Mondiali, Olimpiadi e grandi manifestazioni sportive ovunque si disputino: dalla Cina agli Stati Uniti, dal Sud Africa al Cile, dalla Germania all’ Italia ai tempi nel nazifascismo, o dell’ Argentina della giunta militare – nonostante gli stili di vita, la cultura e una concezione dei diritti molto, troppo distante. Anzi per noi occidentali diritti decisamente oltraggiati e calpestati.
Secondo Amnesty International e altre fonti internazionali in Qatar sono stati violati i diritti dei lavoratori, la maggior parte immigrati. Circa 6500, la maggioranza immigrati asiatici, sono morti nella costruzione degli avveniristici stadi e delle infrastrutture necessarie al Mondiale. Alle famiglie dei lavoratori morti vengono liquidati come risarcimento poche centinaia di dollari, 500/600. I lavoratori in Qatar hanno scarsi se non nulli diritti sindacali e anzi è vietato persino costituirsi in sindacato.
LA LEGGE DELLA SHARIA
Nel Qatar vige la legge della Sharia, le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini e dall’uomo sono soggiogate e dipendenti in termini di lavoro, educazione, studio. La discriminazione di genere è pesante. In un tribunale la testimonianza di una donna vale la metà di quella di un uomo.
In Qatar, secondo legge, l’adulterio può essere punito con 100 frustate ma si può applicare anche la pena di morte. La legge criminalizza gli atti sessuali tra persone dello stesso genere e si viene incarcerati per questo, i diritti LGBTQ di fatto non esistono e i transgender perseguitati. Ha suscitato orrore la dichiarazione di Khalid Salman, ambasciatore dei Mondiali in Qatar – “l’omosessualità è una malattia mentale” – ma di fatto, a parte qualche protesta e un po’ di indignazione, non è successo niente. Nessuna censura, nessuna ribellione. Ancora: nei processi e nelle inchieste giudiziarie si hanno notizie di torture e confessioni estorte. I processi non sono ritenuti equi e la libertà di stampa molto limitata, i media tenuti sotto costante controllo.
Insomma il Qatar è un paese illiberale, sicuro. Per chi vuol guardare l’altra faccia della medaglia, si può anche pensare che il calcio e lo sport possano andare a giocare anche lì dove i diritti sono calpestati proprio per invocarne il rispetto e la diffusione. Diciamo che il principio è accettabile ma anche che la Fifa lo usa come scusa e alibi. Andiamo e giochiamo ovunque ci siano i soldi. E tanti.
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