Belli, vincenti, fieri, ricchi, invidiati. Così appaiono le stelle dello sport ai nostri occhi. Poi, dietro la vetrina più brillante, dietro sorrisi smaglianti, muscoli doc e baci ( o morsi) alle medaglie, scopriamo realtà umane molto diverse, condite da crisi di panico, fobie, insicurezze atroci. E finiamo per stupirci, anche troppo. L’ultimo dio sportivo che ci appare debole e nudo è addirittura Michael Phelps, l’atleta più titolato delle Olimpiadi: con 23 medaglie d’oro, più 3 d’argento e 2 di bronzo, per un totale di 28 podi. Il primatista anche di ori in un’unica Olimpiade, otto, a Pechino 2008. Il fenomeno di 33 medaglie ai Mondiali (26 d’oro, 7 soltanto a Melbourne 2007). Il primo nuotatore ad aggiudicarsi la stessa disciplina individuale (i 200 misti) e due prove a quadre (le staffette 4×200 stile libero e 4×100 mista) in quattro diverse Olimpiadi. Ebbene, oggi che, a 32 anni, è marito e padre (con un secondo figlio in arrivo), confessa che la depressione l’ha attaccato più volte e nel 2014 l’ha portato addirittura a pensare: “Non voglio più vivere”. All’epoca, l’olimpionico più famoso fu arrestato per la seconda volta per guida sotto effetto di stupefacenti e fu sospeso per sei mesi dalla Federnuoto Usa. Reagì nascondendosi a letto per quattro giorni, a casa sua. “Ma dopo essere passato attraverso il mio minimo storico, e vedendo quello che ho adesso, sono ancor più grato alla mia famiglia e gli amici intorno a me che sono stati in grado di aiutarmi e di comunicare con me”.
Il problema in più, quando sei in alto e devi sempre sostenere nuove e più importanti sfide, è che non puoi davvero affrontare i problemi personali, ma devi accantonarli continuamente per inseguire gli obiettivi pratici dell’attività principale: “L’ho fatto per anni e anni, l’ho fatto talmente tante volte che alla fine non li sentivo nemmeno più. E non volevo nemmeno più viverli. E questo mi ha mandato giù per una scala a chiocciola fino al punto in cui non volevo più essere vivo”. Uscire dal vortice è diventato difficilissimo, la soluzione è venuta solo parlando del problema, come rivela Phelps nel documentarlo “Angst”, nella speranza di aiutare gli altri, soprattutto i ragazzi nell’affrontare i problemi mentali attraverso la Fondazione benefica a suo nome. “Per quanto mi riguarda, mi sono tenuto dentro tutte le sensazioni negative per 15-20 anni, senza mai parlarne. Non so nemmeno io perché un giorno ho deciso di tirare tutto fuori. Ma da allora è stato molto più facile vivere e godermi la vita”.
La paternità ha avuto un ruolo fondamentale, per Phelps: “Ringrazio mia madre per l’esempio che mi ha dato da genitore per crescere i bambini. E’ sempre stata lì ad assisterci in ogni situazione della vita mia e di mia sorella. Ora sono arrivato a un momento della mia vita in cui mi posso guardare allo specchio e provo piacere per quel che vedo. E’ la vita, abbiamo tutti degli alti e dei bassi. Io ho trovato un ottimo sistema di supporto e una grande gruppo e sono felice”.
Chissà se è davvero così. Chissà se il suo oggi gli basta. O se sarà costretto dal suo ingombrante passato da star a tornare clamorosamente alle gare.
VINCENZO MARTUCCI