Lo stupore si accompagna all’ammirazione e alla buona notizia che il calcio, in generale, non è composto soltanto da persone accecate dal denaro, ma anche da uomini maturi. Il no di Simone Verdi al Napoli cade come un grosso petardo nella cinica rappresentazione di uno sport che, da tempo, si è volutamente privato delle bandiere per innalzare banderuole.
Simone Verdi, 25 anni, una delle stelle emergenti del nostro campionato, di fronte alle proposte vantaggiose della società partenopea, pur allettato da un compenso che gli avrebbe rimpinguato il conto corrente, dalla possibilità di essere nuovamente allenato da Sarri (dopo l’esperienza di Empoli) e di poter arrivare allo scudetto o anche all’Europa (coppa Uefa), ha scelto di restare a Bologna. Per giocare, maturare ancora e soprattutto, perché agli emiliani aveva dato la sua parola e non sarebbe stato bello abbandonare la barca.
Gesto maturo, controcorrente, ma anche consapevole. Verdi conosce le proprie qualità, la propria forza e determinazione e sa che quello passato non è l’ultimo treno, ce ne saranno altri e da professionista sa che quello che sta costruendo non è una capanna senza fondamenta, ma una carriera basata su solide basi.
Ci furono, in altri tempi, clamorosi no. Rimbomba ancora quello di Pietro Paolo Virdis che a metà anni settanta si negò a Giampiero Boniperti e alla Juventus. Tutto sembrava apparecchiato per la stella emergente del Cagliari, ma il ragazzo sardo rifiutò perché gli pareva ingiusto lasciare la squadra dopo una retrocessione. Ebbe poi il tempo di andare alla Juve, ma non fu un epilogo felicissimo.
Il no si incrocia con i destini dei giocatori bandiera. Oggi non se ne trovano più. Ma anche Gigi Riva rifiutò tutte le offerte per restare nella sua isola di adozione. Aveva carattere, come molti che in passato hanno vestito una maglia e se la sono tenuta ben stretta, anche nei momenti più bui, quando la carriera sembrava precipitare e il futuro appariva nero come la pece (ricordate Buffon e Del Piero?). Oppure Totti, che la Roma aveva nel cuore e mai avrebbe cambiato squadra (anche quando avrebbe potuto farlo con il Real Madrid alle porte). Insomma, non era una questione di soldi, ma di cuore.
Oggi il calcio è un business, macina sentimenti, promesse, parole date, inghiotte stili e caratteri. Non abbiamo nostalgia del passato, ma vorremmo temperare il presente, che i giocatori fossero più uomini e meno burattini in mano ad agenti spregiudicati. La risposta ci viene proprio da Simone Verdi, che ha meditato e poi deciso secondo il cuore, o forse solo perché da uomo sa che mantenere la parola è ancora un onore da rispettare e non da calpestare.
Sergio Gavardi