Quando il nuovo presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina grida allo scandalo per il grottesco Cuneo- Pro Piacenza (Lega Pro) terminato 20-0, dopo che gli emiliani erano scesi in campo con soli 7 ragazzini e un massaggiatore, la prima domanda che ci viene in mente è questa: dov’era la Fgci quando si creavano i presupposti del ridicolo?
Anzi, dov’era la Lega Pro della quale soltanto tre anni fa lo stesso Gravina era presidente?
Perché i guai della Pro Piacenza possono sembrare singoli inadempimenti (stipendi non pagati, Irpef tralasciata, rischio di fallimento, espulsione dal campionato dopo quattro partite in cui la squadra non si presenta, riflessi sulla regolarità del campionato), ma in realtà rappresentano il male oscuro del nostro calcio, perché ovunque si volga lo sguardo simili condizioni si ritrovano in Lega Pro (crisi del Matera pluripenalizzato, cammino sul filo del rasoio della Reggina) ma anche in serie B dove il Palermo, che pure viaggia in cima alla classifica, rischia di veder vanificato lo sforzo del campo con la crisi societaria. Anche qui una telenovela che da Zamparini ai nuovi veri o presunti proprietari è un altro campanello d’allarme sulle reali capacità di sopravvivenza del nostro calcio.
Il grido di dolore di Gravina, quasi stupito che oggi possa accadere ciò che è capitato a Cuneo, è una responsabilità collettiva della Federcalcio e della Lega Pro, perché è chiaro che di là dagli annunci, poco è stato fatto per evitare queste grottesche rappresentazioni. Inutile girare attorno al problema: soprattutto la Lega Pro con 60 squadre non è in grado di resistere economicamente. Non si possono più alimentare le piccole e grandi ambizioni di chi crede che il calcio possa diventare (a livello locale) uno strumento di affermazione sociale. Non va così.
E allora devono essere introdotte regole ferree, sacrifici anche a rischio dell’impopolarità. Non è un obbligo che il calcio di Lega Pro sia a 60 squadre, forse con regole più stringenti il gruppo potrebbe assottigliarsi, rendersi meno aggredibile dalle crisi finanziarie che sono sempre il frutto di passi più lunghi della gamba. Ci vuole attenzione, capacità di emettere dei no, creare un controllo che faccia un totem della sostenibilità finanziaria e del bacino di utenza. Con quale fantasia si può pensare che in una città come Piacenza, che pur in A difficilmente riusciva a riempire lo stadio, oggi si muovano due realtà simili?
Il calcio è un bel gioco, ma lo resta se la formazione delle squadre è sorretta dalla compatibilità con gli sforzi finanziari che i presidenti delle società sono in grado di sostenere.
Fra qualche mese ritorneremo alla solita danza delle società sempre in bilico sul sottile filo dell’iscrizione al campionato, alla ricerca di fidejussioni fantasma, alchimie di bilanci, operazioni sempre borderline. Questa è una mancanza di rispetto verso i giocatori, che sono professionisti e pagano questo disorientamento finanziario e dei tifosi, i primi fruitori di questo spettacolo e che poi naufragano nell’indecente farsa di Cuneo, dove altre vittime sono i sette ragazzi raccattati in qualche modo e costretti alla figuraccia.
E’ giusto che Gabriele Gravina gridi allo scandalo, ma dopo aver fatto un serio esame di coscienza sugli errori del passato per non commetterne più, ora che da presidente della Federcalcio ha le leve e le armi per cancellare la vergogna. Nessuna spettacolare rovesciata di Ronaldo riuscirà mai a colmare il male che questa vicenda ha fatto al nostro calcio.