La 36a edizione di coppa America premia la barca italiana come l'azzurra migliore di sempre nelle finali. I padroni di casa erano troppo avanti nello sviluppo di questa nuova classe. Le prospettive sul futuro
Finisce la 36ª edizione dell’America’s Cup con un risultato che scontenta quelli che speravamo in qualcosina di più, ma che in fin dei conti è un ottimo risultato. Infatti, fino a ora, nessuno sfidante italiano aveva vinto tre prove nella finale della America’s cup, dove solo il Moro di Venezia aveva vinto una prova, e la prima Luna Rossa era uscita con un “cappotto” ad opera proprio dello stesso team Neozelandese.
Si è trattato di una sfida all’ultimo sangue dove gli italiani, forti dell’esperienza di una Louis Vuitton Cup molto combattuta, hanno sfoggiato in molte occasioni il miglior repertorio di match Race possibile, ma che in almeno tre occasioni non hanno purtroppo portato a casa il punto sperato.
Forse, col senno di poi, sarebbe stato bene battere il ferro finché era caldo soprattutto all’inizio delle regate quando TNZ si presentava con una barca veloce ma con un equipaggio che aveva regatato pochissimo; infatti per loro le ultime regate fatte erano state a Natale.
TNZ ha investito molto nella ricerca e nello sviluppo di questa nuova classe e sicuramente ha presentato una barca molto ben studiata e competitiva, come solitamente loro sanno fare, quasi una terza generazione quando tutti i team avevano fatto pochi passi in avanti dai loro primi disegni.
Infatti per stessa dichiarazione del suo boss Grant Dalton il team è al 95% una tech company, e nelle prove con un simulatore molto evoluto hanno concepito è realizzato una barca che, a detta di molti, rappresentava già un evoluzione importante di un concetto già di per sè molto innovativo.
Luna Rossa dal canto suo ha puntato su una barca più tradizionale che aveva nel nell’agilità in manovra uno dei suoi punti di forza ma che nella costanza di rendimento non riusciva ad esprimere quegli spunti di velocità che hanno poi reso possibile la vittoria dei difensori. Ci rimangono ben impresse nella mente delle regate molto appassionanti e spettacolari, con queste nuove barche volanti che hanno attratto una platea di pubblico che va oltre i regatanti puri e che nel bene nel male hanno fatto sentire la vicinanza dei velisti italiani ai loro beniamini.
Speriamo che questo non sia un epilogo ma parte di un cammino che ha portato l’Italia dalla prima sfida di azzurra nel 1983 fino a questo punto, e speriamo che i risultati futuri siano ancora migliori di questi.
La strada per la prossima coppa America non sarà una passeggiata di salute perché abbiamo visto quanto lavoro deve essere svolto anche a livello tecnico per prepararsi al miglior livello possibile ma sicuramente è una sfida affascinante fatta di uomini, di equipaggi, di ingegneri, di barche e, perché no, del tifo nazionale.
Vedremo adesso quali saranno gli sviluppi dopo che Ineos ha dichiarato la sua intenzione di essere “challenger of record”, quali saranno i programmi futuri, quanto lungo sarà il ciclo della prossima coppa America, e quanti degli ottimi velisti olimpici, attualmente impegnati per la conquista dell’oro a Tokyo, saranno disponibili per partecipare alla prossima sfida. Una sfida che si preannuncia più interessante che mai, soprattutto ora che, rotto il ghiaccio della prima volta, molti team più piccoli prenderanno il coraggio di partecipare rendendo così la flotta più numerosa, uno dei più grossi problemi di questa edizione povera di partecipanti.
Per noi italiani rimangono la memoria di tre mesi di belle battaglie combattute in mare a terra dove l’Italia ha dimostrato ancora una volta di essere una protagonista a livello mondiale nella vela che conta e nella coppa America in particolare e dov’è il tifo ha rasentato a volte livelli da tifo calcistico.
Nel bene e nel male l’Italia un paese di grandi passioni e sicuramente la coppa America è una di queste…