Sono le 11,36 del 14 agosto 2018. Un martedì piovoso su Genova. Acqua freddo, fulmini. Niente che faccia pensare che l’indomani sarà Ferragosto. Uno schianto sulla Valpolcevera. Tanto forte che nessuno pensa che possa essere stato un fulmine, ma nemmeno che uscendo di casa si possa vedere quello che gli occhi non potranno mai dimenticare . E’ crollato il Ponte Morandi, il ponte che collega il Ponente al Levante di Genova e viceversa. Il ponte che sovrasta l’aria più produttiva della Genova che vuole rinascere. Delle nuove industrie, dei nuovi magazzini. E’ una strage, Il bilancio parlerà di 43 morti e 556 sfollati. 43 angeli e 556 persone che da un minuto all’altro si sono viste “rapite” dalla loro casa, della loro quotidianità per girovagare ancora adesso fra
alberghi, abitazioni messe a disposizione dal Comune. In attesa di una dimora fissa che non sarà più la loro. La notizia fa il giro del mondo, raggiunge tutti i genovesi già in vacanza.
“E’ crollato il Ponte Morandi…” ma non tutti capiscono. Come dirà la nuotatrice Ilaria Scarcella che nel quartiere
di Rivarolo, quello più colpito, è nata e cresciuta “non abbiamo realizzato subito… Per noi è sempre stato il Ponte di Brooklyn, perché lo ricordava con quelle sue campate. E poi era
impossibile pensare che fosse crollato, sbriciolato…. Poi sono arrivate le prime immagini e l’incubo è diventato realtà. Piangevo e basta. Pensavo ai morti, ai feriti, alle persone sotto. A contattare più gente possibile perché la paura più grande è che li sotto ci fosse qualche tuo amico, qualche tuo
parente. Piangevo e telefonavo. Piangevo e mi telefonavano. Non capivo. Capivo che ea successa una tragedia e mi dicevo meno male che è brutto tempo, magari c’era poca gente lì sopra e anche sotto. Perché ogni giorno lì c’è (si corregge e dice c’era) sempre coda in un senso e nell’altro. L’avrò percorso migliaia di volte a tutte le ore, per andare ad allenamento, per tornare. Per andare a mangiare una pizza, al mare, a vedere gli amici.”
Poi il racconto si ferma perché è ancora troppo doloroso… Per lei come per tutti i genovesi. Ma Genova reagisce. E’ composta nella sua disperazione. Tagliata a metà. Come si direbbe adesso in tempo di coranavirus distante ma unita. E lo sport segue passo passo il dramma di tutta la comunità. Ma si riparte. Non si sta fermi un attimo. E adesso, a meno di due anni, grazie ad lavoro immane, che non si è fermato nemmeno un giorno. Tolta la politica e la burocrazia di mezzo e affidato tutto al Sindaco Marco Bucci e al governatore della Liguria Giovanni Toti, il ponte è di nuovo su. Non sarà più il ponte di Brooklyn. Tutto diverso da quel Morandi che da quattro anni dava segno di evidenti cedimenti strutturali. A febbraio 2019 è iniziata la demolizione. Il 28 giugno 2019 l’esplosione per portare via i due monconi rimanenti. Il 28 aprile 2020, in piena pandemia da Covid, l’ultima arcata è sollevata. Il ponte c’è. Verrà inaugurato a luglio. A meno di due anni dalla tragedia. Ma come si chiamerà? Il dibattito è aperto fra i genovesi ed anche gli sportivi sono stati coinvolti. Per il Sindaco Bucci dovrebbe essere il Ponte di San Giorgio, il simbolo di Genova. Lo ha detto chiaro, concludendo il suo discorso in “lingua genovese” “Pe Zena e pe San Zòrzo”. Ma la decisione finale non è ancora presa e sono stati interpellati molti sportivi nati e cresciuti sonno la Lanterna. Per Ilaria Scarcella potrebbe essere il “Ponte della Madonna della Guardia”. Già quel Santuario che sovrasta proprio la Valpolcevera e che ha assistito impotente al crollo e orgoglioso alla sua rinascita. Il Santuario dove ogni genovese si reca per ricevere una grazia (rigorosamente a piedi) . Ma tanti sono i nomi proposti. Da Niccolò Paganini, ad Andrea Doria. Passando per Fabrizio De Andrè, come ha suggerito Mimmo Criscito, capitano del Genoa “sono passato con la mia famiglia su quel ponte poche ore prima della tragedia. Sono di Napoli ma ormai trapiantato a Genova. Credo che sia giusto intitolarlo ad un poeta che con le sue parole ha ben inquadrato Genova ed il carattere dei suoi abitanti.”
Per il numero uno sampdoriano Fabio Quagliarella dovrà essere “Ponte 43 perché quelle 43 vittime innocenti dovranno vivere sempre in noi ed essere tramandate dopo di noi. Non si possono dimenticare.” Genova città di mare ed acqua. Ed i suoi Campioni con la C maiuscola si sono affermati soprattutto in vasca. Come Martina Carraro che ora abita ad Imola, ma è stata tra le prime a fare qualcosa per la “sua” gente “fin dal subito abbiamo portato avanti il Progetto Genova nel Cuore. Abbiamo gareggiato per due anni in tutto il mondo con questo logo, abbiamo raccolto una bella cifra da devolvere alle famiglie delle vittime, agli sfollati. Io lo chiamerei Genova nel cuore.
Perché è davvero il cuore della città quello che viene fuori. Una città che non si lamenta,ma che guarda avanti sempre. Quella cuffia, quelle magliette che hanno indossato anche i calciatori sono diventate la divisa di noi genovesi” Giorgia Consiglio, ex fondista di livello mondiale non ha dubbi “Dovrà essere il Ponte dei Genovesi. Perché è il nostro. Di noi che lo attraversavamo per andare al lavoro. Per andare ad allenarci. Per fare capire a tutto il mondo chi sono i genovesi. Abbiamo una carattere chiuso, ma un cuore grande, grandissimo. Abbiamo la forza di stare sempre vicini, di aiutarci e di non mollare mai.” Le va dietro Francesco Bocciardo. Campione paralimpico dei 400 stile libero a Rio 2016.
Vuole far capire al mondo chi sono i genovesi “Gente che non molla mia. Ci dicono che siamo diffidenti, introversi. Siamo riservati. Però abbiamo dato ancora una volta la dimostrazione di come sappiamo reagire alle avversità, E’ stato un pungo al cuore. Mi ricordo di esserci passato davanti pochi giorni dopo il crollo per andare all’aeroporto e di aver pianto. Ma quelle lacrime non ci hanno abbattuto ci hanno dato forza, perché le abbiamo versate tutti insieme e poi siamo andati avanti. Senza dimenticare. Per me dovrebbe essere il “Ponte della Rinascita”.
La rinascita di Genova e di tutta Italia. Parlano tutti di modello Genova da esportare e allora rinasciamo con il ponte. Tutti insieme. Siamo genovesi e fieri di esserlo, ma questa è una vittoria di tutto il paese che però non deve dimenticare quei 43 morti e quei 556
sfollati.” Se si parla di pallanuoto il nome che viene sulla bocca di tutti è quello di Eraldo Pizzo, il “Caimano” della Pro Recco. Poche parole ma da ricordare “Sarà il “Ponte di Genova”. Genova è andata in giro per il mondo per la tragedia del crollo. Ora dovrà andarci per la velocità con cui si è ricostruito . Ma ricordiamoci quelle 43 anime che non ci sono più.”
Gli va dietro Elisa Casanova,protagonista per anni dei trionfi del Setterosa “Io lo chiamerei Ponte Renzo Piano perché il nostro
“Genio” ha fatto un progetto meraviglioso. Lineare, semplice, concreto come il nostro carattere.
Ma quelle 43 persone non possono essere dimenticate ed io come tanti le penserò ogni volta che passerò su quel viadotto.”
A ricordare quelle 43 vittime è Martina Peschiera, passato da nuotatrice azzurra ,ora infermiera “quando cadde i miei colleghi nei vari ospedali cittadini vennero mobilitati
per prestare soccorso ai feriti. Ho nella mente e nel cuore i loro ricordi. Non arrivava nessuno e i minuti passavano. L’adrenalina di trasformava in paura. Solo morti. E dovettero trasformare le sale di pronto soccorso in obitori. Una immagine difficile da digerire, da accettare. Bisognerà ricordarli nella maniera più dolce possibile. Allora chiamiamolo Valpolcevera 43. In ricordo anche di chi era
uno sportivo. Come il più piccolo, Samuele Robbiano che aveva solo 7 anni e mezzo e andava in bici così come Manuele Bellasio che aveva poco di più e si apprestava a diventare campione di ciclismo. O Marius Djerry, calciatore della Corniglianese di 22 anni che aveva appena trovato posto in una ditta di pulizie.” La seguono le due promesse della ginnastica Alice ed Asia D’Amato. Hanno
sedici anni, ma se lo ricordano quel giorno “e quelli dopo. Un silenzio irreale nella nostra città. Un silenzio che era un urlo. Valpolcevera 43 anche per due ragazze come noi Camilla Bellasio e Crystal Cecala.Anche loro sognavano un futuro nella ginnastica. Le porteremo nel cuore a Tokyo, insieme a tutti gli altri.” Lo sport genovese è unito, così come si è riunito il suo ponte. 250 metri di speranza per Genova e per l’Italia.
Paola Provenzali