Lo studioso belga Geyer, in un suo articolo dell’ormai lontano 1986, affermava che, in adolescenti affetti dascoliosi toraciche con gibbo (ovvero, una sorta di “gobba” in uno dei due lati della schiena) superiore ai 10 millimetri, il nuoto è dannoso in quanto la pressione dell’acqua e la respirazione forzata determinano un meccanismo definito auto-deformante.
Tale disciplina sportiva, dunque, non “cura” la scoliosi (una malattia della colonna vertebrale che si presenta “storta”) e risulta in alcuni casi addirittura controindicata e certamente inutile ai fini del riequilibrio posturale trattandosi di attività mobilizzante e in ridotto carico gravitazionale.
È ciò che affermano due ricercatori italiani, Rodolfo Lisi e Carmelo Giuffrida, all’interno dell’unico libro esistente in Italia sull’argomento dal titolo “Il nuoto non fa bene” (Il Trifoglio Bianco, Latina, 2019).
In sintesi, secondo gli autori, il nuoto esclude qualsiasi ricostruzione posturale.
“Negli ultimi anni – afferma Lisi – si è infatti indirizzato troppo spesso, e senza motivarlo scientificamente, verso l’attività in piscina indicando il nuoto come “toccasana” della scoliosi. Il nuoto non può essere invece prescritto in presenza di scoliosi. Non si può creare l’illusione di una sua miracolistica efficacia poiché, al pari di qualunque altra attività sportiva, è privo di un qualsivoglia effetto rieducativo-compensativo”.
È utile chiarire subito il ruolo delle attività acquatiche e natatorie: che ricoprono un ruolo di dubbia validità. “Purtroppo, continua Lisi, si è soliti prescrivere il nuoto, come oggetto di attenzioni ingiustificate e controproducenti nel processo di normalizzazione delle alterazioni morfologico-posturali e nella rieducazione della scoliosi”.