Non si può segnare da calcio d’angolo senza la complicità di un altro giocatore. Ne è sicuro Massimo Palanca, specialista delle reti da corner e protagonista della lunga cavalcata del Catanzaro in Serie A. Una tecnica che gli ha permesso di giungere a un passo dalla Nazionale e che lo ha reso celebre in tutto il mondo, ma che è partita in realtà da un gol non assegnato, o meglio, una prodezza trasformata impropriamente in un autogol.
Per comprendere meglio questa storia è necessario tornare indietro di quasi mezzo secolo e trasferirsi in Calabria dove il Catanzaro ritrova la Serie A dopo due anni. Alla guida degli jonici c’è un certo Carlo Mazzone, allenatore romano di nascita e romanista nell’anima, che dopo la sfortunata esperienza alla Fiorentina, vuole dimostrare di valere il massimo campionato. Chiaramente la situazione non è semplice, ma i giocatori non mancano: in difesa ci sono mastini come Giuseppe Sabadini e Maurizio Turone, arrivati quell’anno dal Milan; l’esperto Claudio Ranieri e il giovane Leonardo Menichini, il primo originario della Capitale e romanista nel cuore come Mazzone; il secondo proveniente dalla Città Eterna e scartato troppo presto dalla squadra giallorossa.
A centrocampo spicca la classe del capitano Giovanni Improta affiancato dalla forza di Angelo Orazi, anche lui scuola Roma e anche lui scaricato dalla “Magica” come se non avesse futuro in A. Là davanti l’esperto Renzo Rossi e soprattutto Massimo Palanca, il simbolo di questa squadra, attaccante tutto cuore e tecnica che ha saputo trascinare per due volte le Aquile calabresi nel massimo campionato.
La squadra è neopromossa, ma l’inizio non è soltanto sorprendente, è quasi incredibile. Se è vero che alla seconda giornata arriva una brusca sconfitta per 2-0 in casa del Lanerossi Vicenza, per il resto l’avvio di stagione vede i calabresi infilare tre pareggi per 0-0 con Atalanta, Juventus e Inter. Lo Stadio Militare è un fortino, di lì non passa nessuno tanto più che nelle prime giornate la difesa del Catanzaro è una delle migliori del campionato. Sarà per il “percorso di guerra” che fiancheggia il campo, sarà per la grinta di Carlo Mazzone, ma la squadra calabrese è imbattibile in casa e diventa la sorpresa del campionato.
Quando si arriva al 29 ottobre 1978 nessuno si stupirebbe se il Catanzaro riuscisse a concludere la sfida con la Roma imbattuto, ma portare a casa i due punti appare complicato, complice soprattutto il potenziale ancora inespresso di Massimo Palanca. Al contrario la formazione di Gustavo Giagnoni non se la passa così bene: in estate è arrivato il bomber Roberto Pruzzo e il difensore Luciano Spinosi, ma ciò non basta per sistemare una situazione ormai incancrenita dal tempo. Le prime giornate sono chiare: se si eccettua una vittoria con il Bologna e un pareggio con il Verona, nelle prime quattro giornate la Roma ottiene soltanto tre punti condite da due pesanti sconfitte con Milan e Napoli.
L’undici giallorosso viaggia nei bassifondi della classifica, quasi al limite della retrocessione e ottenere un successo con il Catanzaro sarebbe fondamentale. Tuttavia la squadra che si presenta al Militare non sembra composta da lupi, quanto piuttosto da agnellini spaventati. Al sesto minuto Pruzzo spreca una buona palla di testa davanti alla porta di Massimo Mattolini, ma è il Catanzaro ad andare in gol quattro minuto dopo: Improta costruisce, Orazi finalizza e Sabadini colpisce costringendo Paolo Conti a un miracolo. La palla finisce sulla traversa Rossi la mette in rete. L’arbitro Rosario Lo Bello di Siracusa si accorge di un tocco di mano dell’attaccante calabrese e per questo annulla tutto.
Il primo tempo prosegue con il Catanzaro che mette sotto pressione la porta romanista, ma il reparto avanzato degli jonici è impreciso, un po’ come Pruzzo che è l’unico in grado di tenere in piedi una formazione spenta andando vicino al gol al diciottesimo con un gran tiro da fuori e sprecando una bella occasione al ventiseiesimo.
I primi quarantacinque minuti si chiudono a reti bianche anche se ai punti meriterebbe forse di più il Catanzaro, un andamento che si conferma immediatamente al rientro in campo. Francesco Rocca è costretto a spazzare in calcio d’angolo su Sabadini concedendo un’occasione ghiotta a Palanca. Dalla bandierina l’attaccante marchigiano fa partire un tiro a effetto, uno di quelli che sia il portiere non si aspetta. “O Rey” ha un piede numero 37 che gli consente di inventare parabole incredibili e ciò si ripete in quell’istante con Rocca che intralcia l’intervento di Conti e sfiora il pallone sulla linea.
La logica direbbe che il gol è di Palanca, ma le regole degli Anni Settanta impongono che qualsiasi tocco porti ad assegnare la rete a chi ha commesso l’autogol. Il gol non è quindi una prodezza di Palanca, ma un’imprecisione di Rocca che manda in crisi la Roma intera. La squadra non si riprende, anzi, perde la testa con Spinosi che su una punizione se la prende con Lo Bello. Gli urla “Togliti di mezzo” e in tutta risposta il fischietto siciliano lo espelle al trentacinquesimo mettendo una pietra tombale sulle speranze dei capitolini.
Roma è disperata, si rischia la retrocessione, mentre Catanzaro esplode di gioia per un’impresa impensabile alla vigilia. C’è però chi non è contento come Palanca che hai visto “sottrarsi” il primo gol stagionale. Il piccolo attaccante maceratese si rifarà presto, riscrivendo le regole della fisica proprio contro la Roma, però quel pomeriggio Palanca scrive l’assioma del gol da calcio d’angolo: per farlo serve sempre la complicità di un altro giocatore.