Troppo forte. Troppo veloce. Troppo superiore. Troppo sicuro. Jannik Sinner non può perdere le Finali ATP di Torino, non solo contro Taylor Fritz che aveva già battuto nei gironi di qualificazione e che sognava una doppia beffa, per bissare lo scherzetto che l’anno scorso Novak Djokovic aveva fatto al Profeta dai capelli rossi sfruttando la formula anomala del Masters e vendicare la lezione della finale dell’8 settembre a New York. Niente da fare: la finale davanti alla eccitatissima Torino dura lo spazio di un break, dopo 28 minuti, quando la prima di servizio cede e l’americano si ritrova in balia della risposta e dei colpi da fondo nettamente superiori dell’italiano, specialista delle superfici dure che gli restituiscono rimbalzi certi, e che si esalta da sempre soprattutto sulle superfici indoor. Come ha mostrato l mondo, sconvolgendo tutti, già alle Next Gen Finals di Milano 2019.
DISCESA LIBERA
Così, la partita contro Fritz si sposta poi decisamente dalla parte del Profeta dai capelli rossi e non tentenna più: dopo il break del 4-3, c’è il 6-3 con 19/21 di punti quando mette la prima. Certo, c’è anche il brivido di una palla break ma Jannik la salva come fa lui, con la sicurezza dei campioni, senza tremare, con due bordate di servizio, e suggella il primo set col decimo ace. Del resto, il lungagnone californiano, dopo essersi tanto impegnato sulla diagonale di dritto che a New York l’aveva messo in ginocchio, è troppo sconsolato, stizzito, frustrato, impotente contro le risposte e i colpi di rimbalzo dell’altoatesino. Il suo body language negativo anticipa gli errori e il nuovo break del 3-2, quando la partita diventa improvvisamente una discesa ripida. Nemmeno Sinner fosse sugli sci sui suoi amari monti che ha abbandonato a 13 anni per la scuola di Bordighera da Riccardo Piatti. Tanto che il 6-4 è ineluttabile e indiscutibile, dopo un’ora 24 minuti.
TUTTO AZZURRO
Oggi il primo italiano numero 1 del mondo del tennis è troppo più forte di tutti. E teme veramente solo Carlos Alcaraz, Novak Djokovic e forse Sascha Zverev. Oggi Jannik non può perdere in quest’atmosfera tutta azzurra, di luci psichedeliche e musiche e suoni giovani come i suoi 23 anni e come i tantissimi coetanei che cantano l’inno di Mameli, commossi, insieme alla figlia dodicenne di Bocelli, Virginia. Orgogliosamente italiani, fieramente vicini anche nei lunghi silenzi coi quali accompagnano, in apnea, gli scambi velocissimi dell’eroe. Jannik è figlio dei suoi tempi, è come un video game, un eroe dei Comics, un super-eroe, che macina colpi su colpi, uno dietro l’altro, senza quasi far capire che cosa faccia e come lo faccia, anche se lo fa da fenomeno. “Una macchina”, sentenza Paolo Bertolucci in telecronaca. “Sinnermineter”, s’inchina il quotidiano sportivo più importante, l’Equipe. “Non somiglia veramente a Djokovic, la palla di Jannik è molto più veloce. La tv non rende. Ti asfissia, non ti fa scambiare, almeno Novak quella possibilità te la dà”, piagnucola Ruud dopo la lezione di sabato.
ANCORA RECORD
Non bastavano le 70 partite vinte (6 sconfitte solo), con 8 titoli, fra cui spiccano i primi Slam, agli Australian e US Open, Sinner è il più giovane a raggiungere due finali di fila alle Finals dopo Lleyton Hewitt (20 anni) nel 2001 e 2002. Con 26 vittorie nelle ultime 27 partite giocate. Secondo campione a trionfare senza aver perso un set dopo Ivan Lendl (nel 1986). Resterà al numero 1 anche dopo il primo Major della prossima stagione, a Melbourne. Magari, ritroverà anche il sorriso che, finora, solo il meraviglioso pubblico di Torino è riuscito a strappargli, con quei cori travolgenti: “Alé, Alé, Alé,Alé, Sinnér, Sinnér”. Mai un italiano aveva vinto il Masters, mai avevamo avuto un campione così controllato e così freddo, continuo, vincente ed esemplare.
Vincenzo Martucci (Tratto dal messaggero del 18-11-2024. Foto di Marta Magni)