L’arbitro ha i pantaloncini corti e in Iran le donne non portano i pantaloncini corti: quindi, la partita di calcio non viene trasmessa in tv. Il clamoroso divieto della diretta di Augsburg-Bayern Monaco, anticipo della ventiduesima giornata della Bundesliga tedesca, e alla bionda direttrice di gara, Bibiana Steinhaus, può indignare, ma non può stupire davvero. È l’ennesima battaglia persa dal progresso di libertà in alcuni paesi asiatici ed africani, è la conferma di una chiusura ottusa e ignorante, è una nuova e più imperiosa spinta a vincere la guerra.
Il primo a saperlo è Gianni Infantino, il presidente della Fifa, la massima organizzazione del calcio mondiale. L’11 novembre, alla vigilia della finale della Champions League asiatica aveva applaudito alla storica apertura dello stadio l’Azadi Stadium di Tehran a un centinaio di tifose donne, per la finale Persepolis-Kashima Antlers. Le sue parole entusiaste erano state contestate: “Oggi è uno storico giorno di festa per il calcio, un vero e proprio sfondamento. Dobbiamo dare credito al governo iraniano per la cooperazione e il supporto nell’organizzazione di questa finale. Personalmente sono contentissimo di essere il testimone delle prime tifose donne che in 40 anni vengono riammesse a partecipare a un incontro ufficiale”.
Bibiana Steinhaus (Afp)
In realtà lui doveva assolutamente essere il più diplomatico possibile, pur sapendo che si trattava solo di uno squarcio nel buio, di una tantum propagandistica davanti al mondo. Il divieto non era stato rimosso. Qualche mese prima decine di ragazze e anche giornaliste erano state arrestate solo perché avevano tentato di entrare allo stadio e, a maggio, era stato cancellata la diretta tv del match del campionato tedesco Colonia-Bayern Monaco, con arbitro sempre Bibiana Steinhaus.
La 39enne è troppo bionda, troppo intraprendente, troppo donna, e quindi estremamente pericolosa come simbolo di una libertà soffocata da sempre in quel paese che si nasconde dietro ferree leggi islamiche, utilizzando una censura sempre più anacronistica.
L’assurdo divieto ha spinto le tifose di calcio iraniane a inviare una petizione ufficiale al capo della Fifa, con 210 mila firme: “A nome delle donne iraniane che amano il calcio e vogliono solo guardare le partite per sostenere le squadre preferite chiediamo di prendere tutte le azioni disciplinari contro la Federcalcio iraniana per difendere i nostri diritti”. Appellandosi all’articolo 4 dello statuto Fifa: “La discriminazione di ogni tipo contro un paese, una persona singola o un gruppo di persone a causa della razza, del colore della pelle, dell’origine etnica, nazionale o sociale, di genere, di disabilità, lingua, religione, opinione politica o ogni altra ragione è severamente proibita e punibile con la sospensione o l’espulsione”.
“Sono padre di quattro ragazze”. Dice paziente Infantino ogni qual volta tocca il delicatissimo e dolente tasto delle donne negli stadi in Iran. E’ una ferita aperta, una vergogna, che, nel 2015 il predecessore, Sepp Blatter, definì intollerabile. Tanto che Fifa e Uefa (l’organizzazione europea del calcio) sono sulla stessa lunghezza d’onda anche per offrire alle donne larghi spazi nella futura tv. Ma evidentemente non c’è altro sistema di vincere questa guerra che la persuasione e altro tempo. Il cartellino rosso che i più vorrebbero comminare all’Iran non farebbe altro che chiudere le autorità a riccio, nascondendo ancor più la realtà.
Forse basterebbe riproporre ovunque il magnifico film del 2006, Offside (Fuorigioco), in cui le donne si travestivano da uomini per poter acquistare il biglietto dello stadio e guardare la partita, ed aprire il dibattito. Le immagini arrivano al cuore più di qualsiasi divieto. È proprio per questo che la donna arbitro fa tanta paura all’Iran.