Ilario Castagner, che ci ha lasciato a 82 anni, era un artigiano. Attaccante da giovane, poi pensante-bene da allenatore (non ben-pensante, che ha valenza negativa), giocò, studiò e insegnò in un periodo di grandi fermenti. Per quanto la tivù fosse ancora casta fessura, qualcosa dell’Ajax era filtrato. E molti se ne erano invaghiti. In un certo senso, aveva fatto scuola. In provincia, soprattutto. Penso al gioco corto, nonno del tiki-taka, che Corrado Viciani praticò a Terni e a Palermo. All’Ascoli camaleontico di Carlo Mazzone. Ai bozzetti di pressing nel Toro di Gigi Radice, con i gemelli, là davanti, a disturbare i «portatori». Al «Real» Vicenza di Gibì Fabbri, cresciuto attorno al fisico gracile di Paolo Rossi tutto attaccato. Fragile ma, in area, una sentenza. Il Verona di Osvaldo Bagnoli si arrampicò, addirittura, in cima allo scudetto. Stagione 1984-’85. Nelle 30 partite del torneo, non schierò più di 17 giocatori, quanti se ne possono ruotare oggi, cambi inclusi, in una singola finale di Champions che vada ai supplementari.
E poi il Perugia di Ilario. Quello che, dalla B, arrivò secondo, dietro il Milan della stella, nel 1979. Senza mai perdere, prima squadra a riuscirvi: 11 vittorie e 19 pareggi. E la miglior difesa. Si comandava in tre, allora, e non è che ci si sentisse soli. Franco D’Attoma, il presidente; Silvano Ramaccioni, il direttore sportivo; e l’allenatore. Questo signore di Vittorio Veneto che si era fatto le ossa a Bergamo, dove incrociò e scortò un certo Gaetano Scirea. Giocava a centrocampo, Guido Capello, collega di Ilario e bussola del vivaio, lo preferiva libero. Tu chiamale, se vuoi, intuizioni.
Il Perugia, quel Perugia. Un misto di tradizione e venti nuovi. La dorsale coinvolgeva Nello Malizia in porta, Pierluigi Frosio capitano e lucchetto, Mauro Della Martira stopper; Salvatore Bagni tornante, Franco Vannini detto il Condor torre di controllo e di decollo, Walter Speggiorin punta centrale e Gianfranco Casarsa, colui che batteva i rigori senza rincorsa, un po’ falso nueve e un po’ libero d’attacco.
Non c’era più Paolo Sollier, pugno chiuso e barba di sinistra, ala tutta d’un pezzo, e nemmeno Renatino Curi, tradito dal cuore sotto il diluvio di un Perugia-Juventus che, nel 1977, alla storia passò esclusivamente per quella barella improvvisa e straziante.
Castagner allenò anche Lazio, Milan (riportato in A), Inter, Ascoli, Pescara e Pisa per chiudere, senza le stesse scintille, nella «sua» Perugia. E’ stato poi garbato e fecondo commentatore, lontano dal fanatismo che troppi spacciano per passione. Ai giovani, queste piccole note sembreranno ragnatele. Colpa mia, allora. Perché Ilario meriterebbe ben altro.
Roberto Beccantini (foto tratta da perugiatoday.it)