Tre indizi fanno una prova? L’eliminazione in un giorno solo di alcuni dei protagonisti più attesi di Montecarlo, e cioé Rafa Nadal, Novak Djokovic e Fabio Fognini non sembrano un caso perché hanno in comune un tratto realmente importante: l’età diametralmente opposta dei castigati e dei castigatori, con dieci anni di distanza, fanno ornai la differenza?
Per questi ko sulla Costa Azzurra, tutti eclatanti, si può parlare in realtà di una cattiva giornata, come accade a tutti, si può trovare una spiegazione nella formula dei due set su tre che non dà tanto tempo per reagire, si può argomentare con la peculiarità del torneo del Principato che è il primo vero grande torneo stagionale sulla terra rossa dopo tre mesi sul cemento, si può trovare una giustificazione nelle particolari condizioni di freddo e vento del Country Club di Monaco che dà sul mare ed pè quindi particolarmente esposto ai fattori esterni particolarmente quest’anno, senza le tre ali di tribune tubolari, si può giustificare con le straordinarie prestazioni degli avversari.
Tutti questi fattori fanno sicuramente parte della spiegazione. A cominciare dagli autori dei polpacci, tutti e tre già protagonisti a livello juniores che hanno avuto problemi di crescita fra i pro.
Andrey Rublev (che ha eliminato il dio della terra rossa, Rafa) è un formidabile picchiatore che troppo spesso predilige la soluzione di forza così da disperdere troppe energie e infilarsi da solo in un imbuto.
Dan Evans è un tennista di talento che solo adesso sta scoprendo la terra rossa dove ubriaca i monocordi attori moderni armato del suo rovescio slice e delle fulminee discese a rete per chiedere deliziose volée.
Casper Ruud è un micidiale attaccante da fondocampo, sostenuto nella feroce ricerca della pallina dal papà-motivatore – che ha già superato nella hit parade di famiglia – e dalla determinazione propria di tanti altri atleti nordici ben noti, a cominciare dal suo amatissimo golf.
Il fattore fondamentale che unisce però le tre eclatanti prestazioni è l’età. Evans ha 30 anni, solo all’anagrafe, agonisticamente, però, ne ha meno quattro di meno, che ha sperperato alla ricerca di se stesso, gli altri due protagonisti della caduta degli dei della terra rossa sono figli della famosa nidiata dei Next Gen promossi dall’ATP con le Finals di Milano: Rublev ha infatti 23 anni e Ruud 22.
Entrambe erano usciti da dure battaglie, il giorno prima, per domare due solidi ed esperti pedalatori di Spagna come Bautista Agut e Carreno Busta (anche loro molto più avanti nell’età), eppure, ventiquattr’ore dopo, sono riusciti ad eseguire al meglio il loro compito studiato a tavolino con gli strateghi, gli ex pro Fernando Vicente e Ruud senior.
Un compito peraltro semplice, quanto è lineare il tennis moderno: entrare in campo prima e il più possibile e martoriare al massimo la palla tirandola con violenza verso gli angoli per aprirsi il campo, una volta a destra e una a sinistra, poi due volte a destra e due a sinistra e poi ancora e ancora, fino all’estinzione mentale e fisica – senza ordine cronologico, la questione va insieme – di uno dei contendenti.
“Rocky Rublev” e “Ruud il rude“ sono guerrieri brutali, barbari che roteano in aria la scimitarra per due-tre ore fissando con lo sguardo vitreo davanti a sé, ripartendo da zero nel corso della stessa partita, come hanno fatto clamorosamente, il russo, nel terzo set contro Bautista e contro Rafa, il norvegese da quand’ha annullato due match più a Carreno e da quand’è stato ripreso da 3-0 (quasi 4-0) a 3-3 da Fognini nel secondo set.
Badano solo al sodo e, sulla terra rossa, si esaltano anche più che sul cemento, quasi sollevati dal non dipendere dal servizio, inteso come ace, e poter tenere piuttosto una sostenuta media di velocità alla battuta per prendere in mano da subito lo scambio.
Con la forza dell’età e la preparazione fisica ideale, poi, hanno altissime percentuali di risposta e coprono tutto il campo. Il loro antidoto è la varietà, i continui cambi di velocità, taglio e traiettorie della palla.
Tattica che prevede però forza mentale e tenuta di concentrazione straordinarie. Che Evans sta sfoderando in questi giorni, sorpreso da se stesso dalla produttività su una superficie che ha sempre evitato, e che Fognini non è riuscito a sostenere contro Ruud, perdendo una partita che – ne siamo convinti – se avesse giocato in coppa Davis, con il capitano e la panchina a spronarlo nel tener alta l’attenzione, avrebbe battuto.
Nadal ha 34 anni, Djokovic e Fognini 33, e tutti e tre hanno un gioco dispendioso, fatto di lunghi scambi da fondo, per cui hanno avuto una carriera impegnativa per la testa e per il fisico. E a Montecarlo, nel confronto generazionale, hanno accusato nettamente la differenza coi ventenni, soprattutto nella capacità di reazione che non hanno trovato ma che potranno recuperare quando saranno in una forma migliore, dopo qualche partita in più e ancor di più negli Slam, al meglio dei cinque set, distanza sulla quale l’esperienza ha una valenza maggiore.
Nadal, Djokovic e Fognini restano quindi seri pretendenti alle prossime grandi tappe sulla terra rossa ma Montecarlo non è stato solo un campanello d’allarme, ha dato un segnale importante e forse decisivo nell’ascesa della nuova generazione.
L’atteggiamento sconsolato e frustrato di tutti e tre i veterani è la fotografia di un trapasso ormai inarrestabile che, proprio perché è dettato e caratterizzato da fattori prettamente atletici, non avrà più uno o due attori protagonisti ma diversi.
All’improvviso, Rafa, Nole e Fabio si sono sentiti vecchi. All’improvviso abbiamo visto il Maciste di Spagna che urlava e scuoteva la testa sconsolato, incapace di trovare soluzioni; abbiamo visto il campione di gomma che commetteva 45 errori gratuiti in un solo match nell’inseguire la pallina saponetta e soprattutto la sua attenzione ballerina; abbiamo visto il “Federer de noantri” che non era più capace di irretire col suo fioretto la clava dell’avversario e non lasciava più a bocca aperta coi cambi di ritmo quel maratoneta dai ritmi insostenibili.
Solo Roger Federer, con un altro stile di gioco ed un altro fisico ma anche con un’altra programmazione, sembra irridersi dell’età e competere ancora alla pari contro i giovani, a 39 anni suonati. Ma, dalle prossime esibizioni del Magnifico, siamo proprio curiosi di vedere quanto e come ne sarà ancora capace. A cominciare dalla terra battuta, la superficie fisicamente più dura e la meno vincente per il Fenomeno.
Vincenzo Martucci (tratto da supertennis.tv)