Storie di un’America che viveva forti tensioni tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Duemila. I momenti più intensi di un pugilato che all’epoca non conosceva pause.
Lo scenario è quello di un Paese che per scacciare i suoi incubi si aggrappa anche agli eroi dello sport, Big George Foreman e Iron Mike Tyson ad esempio. Sullo sfondo due città unite dalla frenesia del gioco, divise dall’entusiasmo dei giocatori.
Una è Atlantic City, la faccia triste della medaglia.
L’altra è Las Vegas.
Dario Torromeo ci racconta l’intrigante storia in “Il match fantasma”.
Ha fatto molte tappe in quella frenetica città del Nevada. L’ha vista nei momenti migliori, quelli dell’espansione commerciale, della transizione da città del vizio a enorme parco giochi per famiglie. La grande tragedia era lontana, neppure immaginabile. Vegas non era stata ancora lacerata da quella ferita da cui probabilmente non potrà mai guarire. La vita all’epoca procedeva tra normali scosse di criminalità.
L’1 ottobre del 2017 un cecchino ha cambiato per sempre la storia di quel posto abituato a crescere in un trionfo di luci in pieno deserto. Dal 32° piano del Mandalay Bay Hotel quel tizio ha sparato centinaia di proiettili con una mitragliatrice. Ha ucciso 58 persone che stavano assistendo a un concerto di musica country, ne ha ferite più di cinquecento e poi si è ucciso. Nella sua stanza d’albergo la polizia ha trovato diciannove fucili, fuori media anche in un Paese che custodisce trecento milioni di armi nelle case dei cittadini, onesti o criminali che siano.
Glock G19, Taurus 85, Mossber 930 JM, Kel-Tec Sub-2000. Sono i primi nella hit parade degli armamenti popolari. Novanta abitanti su cento tra le mura domestiche hanno un oggetto capace di uccidere. La strage messa in atto da Stephen Paddock, pensionato di 64 anni, è stata solo l’ennesima tappa, la più cruenta, di una tragedia americana che non sembra avere fine.
Quel giorno Las Vegas ha fatto un passo all’indietro nel tempo. È come se avesse perso l’innocenza, semmai ne avesse avuta una. Prostituzione, gioco d’azzardo, mafia e criminalità non erano riuscite a scalfire la sua patina di Disneyland per grandi bambini.
Un assassino gliel’ha strappata in un impeto di crudeltà.
Lentamente, a fatica, riuscirà a tornare quella che negli anni Ottanta faceva sorridere grandi e piccini. La vita riprenderà il suo normale cammino, neppure il pianto di decine di famiglie la indurrà a prendersi una pausa di riflessione. Magari anche solo per chiedersi se non si possa fare a meno di tutte quelle armi. La strage rallenterà solo la ripresa della corsa.
“Il match fantasma” è stato scritto prima del maledetto 1 ottobre 2017. Non racconta tragedie, ripercorre più semplicemente il cammino di due campioni che hanno infiammato l’animo degli americani fino a condurli verso un’utopia. Decisamente meno pericolosa di una pistola o di un fucile.
In tanti si sono lasciati stregare da quella sfida impossibile, e per questo ancora più bella. In fondo è stato dolce sognare un incontro irrealizzabile, e per questo più affascinante.
È per capire cosa ci fosse dietro quel sogno che Dario Torromeo si è messo sulle tracce di un match fantasma, quello tra Tyson e Foreman.
Ha viaggiato da Las Vegas ad Atlantic City, da New York a Los Angeles. Ha attraversato l’America. Ha studiato pazientemente tutti i pezzi di un puzzle di successo per raccontarli poi in un libro.
“Il match fantasma” è il frutto di un’inchiesta giornalistica. È la storia dei tentativi per mettere in piedi il combattimento, degli uomini che si muovevano nell’ombra tra inganni e misteri. Dentro ci sono i pensieri dei due campioni e dei loro rivali.
L’autore ha provato a capire cosa ci fosse dietro la ferocia di Tyson negli incontro con Biggs e Bruno, ha raccontato le angosce di Holmes e Spinks. Ha rubato la gioia di Foreman nel momento in cui ha messo ko Moorer, ha avuto la fortuna di scoprire i retroscena del curioso match contro Hernandez. Uno che neppure quelli della sicurezza pensavano fosse davvero un pugile. Ha scoperto quale impulso abbia dettato la trasformazione di Big George, da arrogante fighter a predicatore che ha imparato a sorridere.
È un viaggio nel cuore della boxe. Una lunga incursione tra i pesi massimi, trent’anni di storie. Dall’arroganza mista a paura di Carl Williams, alla sconcertante avventura di quella strana coppia composta da Peter “Hurricane” McNeeley e dal misterioso manager Vinnie Vecchione. Dalla grande sfida di Big George contro Evander Holyfield alle stranezze di Don King e compagni.
“Il match fantasma” ci porta nel cuore della boxe e della società americana. Tra i colossi del pugilato e le contraddizioni del sistema.
In chiusura ci troviamo ancora davanti a Foreman. L’autore l’ha intervistato a Milano. Big George gli ha parlato soprattutto di Muhammad Ali.
Dario Torromeo è stato fortunato. Ha goduto di un posto in prima fila, sedeva a bordo ring, vicino al centro della storia.
A quel punto ha pensato fosse giusto seguire l’insegnamento di Dino Buzzati.
Così non fa il furbo, racconta.
“Il match fantasma”. L’America sognava Tyson vs Foreman, intrighi e misteri vissuti a bordo ring, di Dario Torromeo. Edizioni Absolutely Free, 252 pagine, 16 euro.