Quello che spaventa del dibattito (chiamiamolo così) che si è aperto sulla riforma dello Sport Italiano, e quindi del CONI che fino ad oggi lo ha rappresentato in toto, è la confusione di idee che ne emerge. Ho avuto la sventura, trovandomi a quell’ora in auto, di sentire l’intervento fatto a Zapping dal Sottosegretario Giorgetti e quella concessa da Salvini mentre entrava a San Siro per l’incontro della Nazionale Italia-Portogallo. Se il CONI, specialmente quello degli ultimi venti anni, ha una colpa è quella di non aver fatto operazioni di “cultura” per far capire a tutti cosa è lo Sport e quali sono i meccanismi che lo governano, a partire del volontariato di milioni di dirigenti, tecnici ed atleti che lo regolano.
Grave colpa, questa, colpa che il CONI deve condividere con i media che confondono la parola, e il significato, dello Sport con il Calcio e, in particolare, quello d’élite che coinvolge un centinaio di squadre e un migliaio di tesserati, a cui vengono dedicate pagine e pagine di giornali e giornaloni.
Dall’intervista di Giancarlo Giorgetti ho potuto capire come siano confuse le sue idee nel realizzare una riforma, forse studiata insieme all’altra mente, quella del Sottosegretario Simone Valente, il cui pedigree dice che ha solo lavorato in un call-center, e senza confrontarsi con alcuno. Non vorrei trovarmi al suo posto al momento di applicare questa riforma, ammesso che fra un anno lui sarà ancora al suo posto, cosa che gli auguriamo, ma che lo scenario politico nazionale non gli garantisce.
“Levatevi dalle balle”
Una considerazione che permette di dare ragione a Malagò – il quale non è che di cultura e storia sportive ne sappia molto avendo alle spalle un’attività agonistica nel calcetto ed un praticantato da dirigente in un circolo sportivo elitario ed esclusivo, vietato alle donne, e nell’organizzazione di eventi sportivi megagalattici – quando si lamenta che con “4 righe” si vuole cancellare “oltre 100 anni di storia”, senza un confronto, un dibattito allargato e in forma del tutto proditoria. Gianni Mura nella sua rubrica domenicale chiosa, in maniera efficace, che bastavano tre sole parole: “levatevi dalle balle”. .
Il vice-presidente Matteo Salvini approfitta del palcoscenico di San Siro – un bel controsenso, questo – per farsi paladino dello sport di base, quando i suoi interventi sullo sport in questi ultimi mesi sono stati più che altri legati alle vicende del Milan e alle giornate di squalifica di Higuain. Salvini fa capire che con i soldi del CONI bisognerebbe finanziare e proteggere società amatoriali e milioni di praticanti. Forse non sa che questo sogno utopico non s’era realizzato neanche nel più statalista dei paesi comunisti, leggi Unione Sovietica. E che il tutto, comunque, costerebbe molti miliardi.
Ma soprattutto che questo è contrario a tutto lo spirito che è in Italia il fondamento dello Sport per dirigenti ed atleti: il volontariato. È la base della piramide su cui poi lentamente si passa a costruire gli altri stadi, lì con gli aiuti delle organizzazioni sportive. Se lo Stato volesse veramente intervenire per aiutare lo sport di base dovrebbe iniziare con l’attività nelle scuole, sia agonistica che formativa dei suoi quadri educativi, con l’impiantistica di base, col cancellare la norma che di fatto vieta a Comuni e altri Enti Locali di finanziare interventi sullo sport, e via di questo passo.
Ignoranza e confusione
Proprio l’ignoranza sui reali compiti dello Stato e della organizzazione sportiva è alla base di questa confusione. Ma è una confusione “culturale”. Dire oggi che in alcuni paesi europei (leggi Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna) i finanziamenti allo sport vengono gestiti direttamente dallo Stato, è un’affermazione fuorviante. I sistemi sportivi in atto nei diversi paesi, sono infatti figli della storia di quegli stessi paesi. In Italia per cancellare il controllo che il fascismo aveva creato sullo Sport fu deciso di passare la palla al CONI che allora aveva poche stanze nei sottoscala dello Stadio Nazionale (poi Stadio Torino ed ora Stadio Flaminio).
Che poi Onesti, con la complicità interessata di Giulio Andreotti e con la accondiscendenza dei partiti politici, abbia fatto diventare il CONI autonomo, soprattutto self-financed grazie al Totocalcio, ed abbia così potuto conseguire grandi successi organizzativi e sportivi, è un fatto che non può essere dimenticato. Come non può essere dimenticato che grazie ad una sinistra “populista”, il famoso WM, si sia ucciso il Totocalcio affinché lo Stato incassasse più soldi dall’Enalotto e per compiacere il mondo del Calcio, so è consentire lo spezzatino e i contratti televisivi enormi che ne sono seguiti, per di più senza il coraggio di eliminare i contributi del CONI stesso alla FIGC.
In altri paesi lo sviluppo dello Sport è stato diverso ed è vero che per lungo tempo sono stati i Governi ad assegnare le risorse alle Federazioni, ma mai la politica in Francia, Germania o Spagna, ha abusato di tale potere. Sintomatico il fatto che in Germania dal 2006, questa la responsabilità è passata (dopo un dibattito interno durato più di un anno) ad un organismo misto (DOSB) composto dal Comitato Olimpico, dalle Federazioni Olimpiche e non, dai 16 Lander e da altre organizzazioni sportive trasversali. E che in Francia, a partire da Marzo (anche in questo caso dopo un anno di dibattito interno), avverrà la stessa cosa. Quindi sventolare da parte dei politici “stiamo facendo quello che avviene in altri paesi “, più che una esagerazione è un falso. Abbiano il coraggio di aprire un dibattito prima di confinare una riforma così importante per il paese in un codicillo, come fosse il condono per Ischia.
Nella stessa Gran Bretagna il finanziamento dello sport di base è figlio della cultura che questa grande nazione ha nei confronti dell’attività sportiva a tutti i livelli. Grazie a questo, il Comitato Olimpico e le Federazioni sportive non sono sostenute da alcuna risorsa da parte di UK Sport, l’agenzia costituita dopo la debacle di Atlanta 1996. Lo ricordo perfettamente perché ad Atlanta stessa, grazie all’amicizia con ex-atleti allora influenti leader sportivi nazionali (Alan Pascoe, David Hemery e Sebastian Coe), ebbi diverse riunioni con i dirigenti del futuro UK Sport, curiosi di capire che cosa avesse fatto il CONI per passare dalle 19 medaglie di Barcellona 1992 alle 35 di Atlanta 1996, con più del doppio di medaglie d’oro.
A adesso che fare?
La ricetta italiana era stata semplice: contributi solo in base a programmi e non ai voti, controllo stretto del rispetto dei programmi e la costituzione del Club Olimpico, una invenzione di Mario Pescante, con il quale si finanziavano direttamente solo gli atleti che potevano vincere una medaglia, non solo con soldi ma anche con altri banali benefit come la tessera Freccia Alata dell’Alitalia o la Tessera per tutti cinema dell’ANICA-AGIS (una trovata di quel geniaccio di Ernesto Sciommeri), due benefit non quantificabili dal punto di vista economico ma importantissimi dal punto di vista motivazionale. Sarei poi disonesto se qui non citassi quelli che in quelle cinque edizioni dei Giochi contribuirono a questo successo: Gianfranco Cameli, Roberto Fabbricini, Tullio Paratore, il compianto Michele De Lauretiis, Lino Bellotti, Antonio Dal Monte e tutti i medici dell’Istituto di Medicina dello Sport, gli architetti Enrico Carbone e Gianni Brandizzi (anche lui, purtroppo, scomparso), Nicola Candeloro, Rossana Ciuffetti e altri ancora.
UK Sport, fra le varie provvidenze, ha applicato il concetto del Club Olimpico migliorandolo in maniera maniacale. Cerchia ristretta degli atleti, risorse assegnate su programmi e base quadriennale. È vero che ora si reclama un allargamento, ma non esteso alle Federazioni minori sebbene ad un maggior numero di atleti che potrebbero aspirare alle medaglie. UK Sport finanzia le Federazioni solo in caso di organizzazione di importanti eventi. Gli organismi regionali – UK England, UK Wales, UK Scotland – possono finanziare l’attività delle Federazioni locali solo per attività promozionale, quella che loro chiamano di “grass-rootes” . Ma nulla transita da UK Sport verso le Federazioni per la loro normale attività. Le Federazioni si autofinanziano, e qui meriterebbe fare un paragone con l’Italia anche se negli ultimi anni c’è stato un miglioramento netto rispetto agli anni Novanta quando il gettito del Totocalcio consegnava al CONI l’equivalente di oltre 800 milioni di euro l’anno.
Per concludere, al di là dell’ovvia vanagloria del sottoscritto che comunque non è fine a se stessa, c’è solo da auspicare che l’accoppiata Giorgetti&Valente capisca che il codicillo di riforma va cancellato, la palla va rimessa al centro e va aperto un dibattito più approfondito e democratico, se possibile non sulla piattaforma Rousseau, ma fra gli stakeholders. E non in Parlamento, come ha suggerito Franco Carraro nella intervista rilasciata a Repubblica (concetti ripetuti, questa mattina, dai microfoni di Radio Anch’io). Lì ci sarebbe il rischio che uscirebbe qualcosa peggio di questa.
Ovviamente in questo dibattito il CONI dovrà accettare di cedere qualcosa e soprattutto dovrà impegnarsi a cambiare atteggiamenti ed approcci. Può ridisegnare i confini, ottenere che lo Stato si occupi delle cose di sua competenza, ma abbandonando esagerazioni megalomani. Se questo non accadrà Giorgetti&Valente rischieranno di passare alla storia come gli affossatori dello Sport Italiano e lasciare molte vittime incolpevoli sul campo, atleti inclusi. A tanto non era riuscita la sinistra di Veltroni e Melandri (VM), potrebbero riuscirci loro in molto meno tempo.
Luciano Barra
*articolo ripreso da www.sportolimpico.it