Un’italiana imperatrice in Cina. Gioca a tennistavolo nella categoria 2 paralimpica, si chiama Giada, il nome della pietra considerata sacra dai cinesi sin dall’antichità, oltre che simbolo di virtù da Confucio, insomma un successo annunciato. Ci mette tanto del suo, cominciando dal bronzo nella Paralimpiade di Rio 2016 per continuare con un oro a squadre, insieme a Michela Brunelli, ai Mondiali 2017, un bronzo individuale ai Mondiali 2018, un oro individuale e un bronzo a squadre agli Europei 2019, sempre con la Brunelli, tre vittorie in Tornei internazionali, e diventare l’attuale numero 1 della classifica mondiale nella sua categoria.
E alla fine arriva il riconoscimento più esaltante, e proprio nella patria di questo sport: in occasione del Master, disputato a Zhengzhou, capitale della Provincia dell’Henan, Giada Rossi è premiata come Donna dell’anno fra i paralimpici. La cerimonia ha un fascino “da Oscar” perché c’è una terna di candidati e l’annuncio è sempre preceduto da un po’ di tensione. Nel caso della campionessa azzurra, è giustificata anche per via delle altrettanto meritevoli concorrenti, la cilena Tamara Leonelli e soprattutto la cinese Wang Rui. Battere una cinese a casa sua, nel tennistavolo, davvero un’impresa, ma i voti sono per Giada Rossi perché i suoi risultati sono i migliori. Così, un anno dopo il successo di un altro italiano, Massimo Costantini nella categoria degli allenatori nel 2018, c’è ancora il tennistavolo azzurro a dimostrare che ogni sogno può diventare realtà grazie al lavoro e alla passione.
E anche all’umiltà, perché la sorpresa più grande nell’ascoltare la reazione di Giada è scoprire che non pensava nemmeno di poter entrare nella terna finale! “Davvero non mi aspettavo la designazione – dice la 25enne di San Vito al Tagliamento –. Quando mi è arrivata la comunicazione mi sono chiesta come mai ho avuto questa fortuna, inaspettata ma bella”. La chiama fortuna, ma la serie incredibile di risultati degli ultimi quattro anni non la si può definire in questo modo. Probabilmente, la forza di Giada è anche questa, non fermarsi a rimirare le medaglie e a dire “ma quanto sono brava”. Bisogna spingerla per farle riconoscere che almeno la designazione era inevitabile. “I risultati c’erano, ma non ti fermi a pensarci e non ti aspetti chissà cosa. Poi, però, quando ci pensi, la soddisfazione è tanta”.
Un pensierino alla vittoria, comunque, era impossibile non farlo, soprattutto perché la cilena e la cinese avevano risultati meno significativi. “A quel punto, il pensierino c’era. Tutte e tre campionesse continentali, ma io sono la prima nella classifica mondiale, ho vinto tornei importanti, a quel punto un po’ me l’aspettavo, ma finché non capita non ci credi. Poi, quando hanno fatto il mio nome sono entrata in confusione, avevo il cuore che mi batteva a mille, ero emozionatissima. E vincere in Cina, superando anche una cinese, è stato un motivo di soddisfazione in più. Qui si respira l’atmosfera magica di uno sport i cui campioni sono idoli, questa è la patria del tennistavolo, vincere qui è tanto gratificante”.
Sembra tutto facile per questa ragazza, che raccoglie il testimone di altre brave pongiste della sua stessa regione, come Pamela Pezzuto, due argenti paralimpici nel 2008 e 2012, ma la sua rincorsa al successo è più complicata di quanto si possa pensare. Giada comincia nel 2012, vicino casa, a Lignano Sabbiadoro, ci sono i raduni della Nazionale, lei si entusiasma a vedere di persona i giocatori che ha ammirato in Tv da Londra. Ma quando comincia a gareggiare nei tornei internazionali, nel 2013, viene inserita nella classe 3, contro atlete con disabilità minore rispetto alla sua, che dovrebbe farla includere nella 2. Giada Rossi gioca in carrozzina e, impedimento più complesso, non può stringere la racchetta con le dita, le viene legata al polso. “E’ stata dura – racconta Giada –, non ho la presa, le mie avversarie la tengono con la mano e hanno un controllo del tronco migliore del mio”. Fra l’altro, per lei c’è maggiore difficoltà nel dare effetti laterali alla pallina, deve fare un movimento del braccio più ampio, e nel controllare quelli impressi dalle avversarie. “Il d.t. Alessandro Arcigli e il tecnico Donato Gallo mi hanno sempre sostenuta, li devo ringraziare, mi hanno detto di avere pazienza, il cambio di categoria può avvenire solo dopo due anni, così è stato, a marzo 2015, così ho dato il via alla rimonta nei tornei internazionali per conquistare la qualificazione a Rio, che scadeva a dicembre, e ci sono riuscita”.
Qualifica e poi il bronzo olimpico. In tutto questo, una parte fondamentale l’hanno i genitori. La mamma, Mara Cocchetto, l’ha accompagnata a Zhengzhou. Il papà, Andrea, le dà una spinta importantissima. “Quando cercavo di qualificarmi per Rio, lui ci credeva più di me e mi convinse a fare altri tornei per trovare i punti necessarialla qualificazione. Lui e mamma, poi, mi hanno aiutata tantissimo per farmi allenare. Non avevo ancora la patente e loro facevano la staffetta con le auto per portarmi alla sede degli allenamenti, a 60 chilometri da casa. Papà aveva l’auto aziendale ma non riuscivo a salirci, a metà strada facevamo il cambio con quella guidata da mamma, furono mesi pesanti. Ma poi a Rio presi il bronzo, non avrei mai immaginato di vincere una medaglia”. Ora ha la patente e si sposta da sola. “Ho già fatto 50.000 chilometri”. E mamma Mara aggiunge, sorridendo: “Più i 16.000 prima di Rio”. Per 20 giorni al mese lavora nel Centro federale a Verona. “Sei ore al giorno di allenamento, più la piscina e la preparazione atletica, c’è l’appuntamento di Tokyo da preparare”. E’ già qualificata per la Paralimpiade giapponese, fra l’altro grazie a un’altra prova di classe, la vittoria nel torneo di Stadskanaal, in Olanda, battendo la cinese Liu Jing, 3 ori olimpici consecutivi a Pechino, Londra e Rio, n. 2 della classifica mondiale, e la brasiliana Da Silva Oliveira, argento ai Mondiali e n. 4 del mondo. L’impegno sportivo, per il momento, le fa escludere altri obbiettivi, che però sono solo rinviati. “Sono iscritta a Scienza dell’Educazione, mi sono un po’ fermata con gli esami perché sono concentrata su Tokyo e voglio fare il massimo nello sport. Poi penserò alla laurea e a cosa realizzare nella vita”.
Intanto, continua a ricevere attestati che premiano i suoi sforzi. Dopo il premio come miglior paralimpica mondiale nel tennistavolo, si impone anche nel referendum della Gazzetta dello Sport come migliore atleta paralimpica in tutti gli sport. Sul tavolo e fuori, sono vittorie non solo sportive. Giada Rossi è convinta che proprio lo sport stia facendo compiere un passo decisivo al mondo della disabilità. “Una delle soddisfazioni più grandi è andare nelle scuole ed essere visti come atleti, i ragazzi considerano il mio gesto sportivo, il mio essere atleta e non persona disabile che pratica lo sport solo per svagarsi, apprezzano i sacrifici che facciamo. La sensibilità delle persone, in generale, è aumentata e gli stessi disabili devono capirlo, non bisogna più avere problemi nell’uscire di casa perché si ha paura che gli altri “ti guardano male”, è tutto un mondo che sta cambiando, grazie agli atleti e grazie alle persone che si sono spese e si spendono per questo, a cominciare dal Comitato paralimpico”.
Per Giada Rossi resta un solo rammarico. “Peccato aver perso l’occasione dei Giochi estivi in Italia, soprattutto per la Paralimpiade, perché avrebbe fornito lo spunto alle città italiane di migliorarsi a livello architettonico oltre che in quello sportivo”. Magari qualche medaglia in più a Tokyo, cominciando magari da un oro nel tennistavolo, sarebbe comunque d’aiuto? “Magari. Io ci provo”. E’ un’imperatrice che parla.