È il Momento. Quando si passa dalle chiacchiere dei test ai fatti della gara: le piste sono le stesse, le moto (si spera) solo un po’ migliori dell’inverno, gli avversari – se possibile – ancora più incattiviti. Di momenti così Valentino Rossi ne vissuti 22, come le sue stagioni mondiali. Ma mai come questa volta i dubbi che vorticano nella testa possono prendere il sopravvento sul sorriso che da sempre accompagna la sua incredibile cavalcata su due ruote.
Sotto attacco, apparentemente con difese spuntate, tanto in difficoltà da fargli scolpire nella pietra una sentenza che sembra piuttosto un’invocazione: “Nella prima gara in Qatar serve un miracolo”. Una rivoluzione al contrario che fatica a trovare risposte certe. Perché ok, le primavere sono 38, che in un mondo di ragazzini possono sembrare uno sproposito, ma 4 mesi non possono aver stravolto tutto. Non così. Valentino è (dovrebbe essere) lo stesso che ha chiuso il Mondiale passato alle spalle del campione Marc Marquez, con due podi consecutivi e una vittoria nelle ultime tre gare.
L’inverno ha mischiato un po’ le carte nello schieramento, certo, ma soprattutto ha messo alle corde Rossi. Che in nove giorni di test ha avuto due piccoli colpi di coda (2° tempo nella seconda giornata sia in Australia, sia a Doha) figli più dell’orgoglio che della concretezza. Finendo tutte le altre sessioni con tanti dubbi e, soprattutto, una gran fatica fisica: che gli si leggeva chiaramente negli occhi.
Il problema non può essere nemmeno la sua Yamaha. Che è cambiata – esternamente nemmeno lo si percepisce – ma solo nei dettagli. Figlia com’è della filosofia dei giapponesi di evolvere e non rivoluzionare. La M1 va, come dimostrano anche i due esordienti che hanno appena iniziata a guidarla, ma soprattutto il nuovo arrivato al fianco di Valentino, quel Maverick Viñales che ha letteralmente dominato l’intero inverno, utilizzando la stessa sua moto.
Ecco il vero problema. Il paddock si è popolato di ragazzini “senza rispetto”, che saltano in moto dalle classi minori o da una moto (in teoria) meno competitiva e non hanno più timore reverenziale nei confronti delle gerarchie o della moto più complessa ed estrema. In fondo, i primi ad inaugurare questo nuovo andazzo erano stati i due “Grandi Nemici” italiani, Biaggi e Rossi. Max, nel 1998, debuttò in 500 centrando pole e vittoria, ma perdendo poi le possibilità di titolo per la sciocchezza di non rispettare le decisioni della Direzione gara a Barcellona, quando era in testa al Mondiale. Valentino invece, riconobbe, ma a posteriori, l’errore di valutazione che due anni dopo gli tarpò le ali nella rincorsa al Mondiale dell’esordio in 500, dove finì dietro Kenny Roberts jr. Confessò che “se avessi creduto fin dall’inizio che avrei potuto puntare al titolo, forse ci sarei riuscito”. Invece l’approccio fu cauto, vecchio stile. E il titolo svanì nemmeno per tantissimi punti.
Poi, nel 2008, arrivò Jorge Lorenzo (ex compagno di Valentino, che oggi forse lo rimpiange) e tutto cambiò: pole e secondo posto all’esordio, pole e podio nella gara successiva, pole e vittoria nella terza. Da lì è stata una corsa senza fine. Marquez campione nell’anno dell’esordio, oggi Viñales che appena è arrivato sulla Yamaha sembra pronto per giocarsi il titolo. E per fermare i tre spagnoli (più Pedrosa, Dovizioso e forse Iannone) sembra proprio ci voglia un miracolo di “san” Valentino.