Viva il rovescio a una mano e tutti i suoi interpreti. Gli ultimi Grigor Dimitrov e Lorenzo Musetti li abbiamo visti rilanciare nei quarti di Acapulco grande bellezza di questo gesto classico in netta contrapposizione del più comune rovescio a due mani del tennis moderno. Creatività, brillantezza, varietà contro essenzialità, regolarità, efficacia. Rischio elevato contro rischio contenuto.
Il rovescio, a due mani, è più facile da insegnare per il maestro del club: non è un colpo naturale come il dritto, bisogna impostare bene il movimento e lasciare che l’allievo impari a cercare la palla e la distanza esatta dal proprio corpo, facendo anche un saltellino, come quel genio di John McEnroe, personalizzando, insomma, il movimento in funzione del proprio io. E’ molto più facile insegnare a tirarlo a due mani, senza tanti svolazzi stilistici, nel nome della praticità. Chi imbraccia la racchetta per la prima volta, da bambino, quando non ha tanta forza trova consolante e gratificante spedire comunque la palla dall’altra parte del net e, alla ricerca di qualsiasi sistema per riuscirci, abbraccia il rovescio a due mani come l’ancora di salvezza. E poi continua così, anche per contrastare il temibile top da terra rossa.
Il rovescio non è un colpo naturale come il dritto, esalta la personalità, diventa la firma dell’artista, la nota di violino che caratterizza una propensione offensiva, come racconta l’evoluzione di Pete Sampras, che è partito come regolarista da fondocampo e, proprio quand’ha staccato una mano dal rovescio, s’è evoluto in un meraviglioso attaccante. Non a caso nei tempi moderni tutti i rovesci a una mano hanno caratterizzato protagonisti di spessore.
Da John McEnroe, che interpretava quel colpo in modo talmente singolare ma anche produttivo da far storcere la bocca a qualsiasi insegnante, a Stefan Edberg, il ballerino del net che ha messo in mostra approccio a rete e volée di rovescio da insegnare in qualsiasi scuola tennis. Da Richard Gasquet che ha basato tutta la carriera su quel magico fulmine da Fantastici 4 del cinema a Roger Federer che ha sublimato il gesto con la bacchetta magica del talento.
Grazie alle formidabili esplosioni del suo rovescio a una mano Stan Wawrinka è diventato “Stan the man” e Grigor Ximitrov – sì, proprio l’ultima vittima Doc di Musetti ad Acapulco – s’è fatto un nome come “Baby Fed”, imitando il Magnifico, il suo idolo.
E non a caso, fra gli straordinari NextGen i due più creativi sono Stefanos Tsitsipas – prossimo avversario di “Muserati”, come chiamano negli spogliatoi il talento italiano “made in Carrara” – e Denis Shapovalov, anche loro con un imprevedibile e risolutivo rovescio una mano che li distingue nell’eccellenza.
Un’altra caratteristica del rovescio a una mano e di tutti questi talenti dal gioco prettamente offensivo è la ricerca continua ed estrema della soluzione. Tendenza che porta, quindi, necessariamente, a prendersi forti rischi ma che si identifica anche con parole affascinanti come diversità, singolarità, individualità.
Perché non esiste rovescio a una mano uguale all’altro, sono davvero unici. E sono così ancor più in contrapposizione rispetto alla massa di tennisti che invece effettua questo colpo a due mani. Condannata peraltro da tendiniti latenti e frequenti all’altro polso, quello che dovrebbe essere di supporto e invece diventa guida, proprio per cambiare angolazioni e forza.
Meditate, gente, meditate!
*articolo ripreso da https://www.supertennis.tv/News/Campioni-internazionali/viva-il-rovescio-ad-una-mano