La strada è pericolosa, ma il ciclismo è uno sport che si pratica sulla strada. Alla tragica lista dei ciclisti, amatori e professionisti, che ogni giorno perdono la vita sulla strada, si aggiunge Gino Mäder, caduto al Giro di Svizzera giovedì 15 giugno, nel finale della frazione con arrivo a La Punt. Vincitore di una tappa al Giro d’Italia nel 2021, il ciclista del Team Bahrain Victoriousaveva 26 anni.
È uscito di strada ad alta velocità, in discesa, insieme con Magnus Sheffield, corridore della Ineos. Le bici si sono incastrate sul guardrail. Sheffield è rimasto praticamente illeso, per Mader si è capito subito che si trattava di lesioni molto gravi causate da un impatto violento con la roccia, nel dirupo. Trasportato all’Ospedale di Coira, purtroppo non c’è stato nulla da fare. Non esistono immagini dell’incidente, anzi la polizia cantonale dei Grigioni ha richiesto l’aiuto di eventuali testimoni per avere la certezza di cosa abbia provocato la caduta del corridore elvetico.
La squadra, gli altri ciclisti svizzeri, l’organizzazione della gara e tutto il plotone hanno piantoMäder, gli hanno indirizzato ricordi e dedicato vittorie, anche daiconcomitantiGiro di Slovenia e del Belgio. Molti si sono chiesti come sia possibile che accadano incidenti simili. E qualche collega di Mäderha cercato di dare e forse darsi una spiegazione a una morte che non è mai accettabile, a 26 anni.
Il campione del mondo RemcoEvenpoel:«Anche se un arrivo in vetta sarebbe stato perfettamente possibile, non è stata una decisione intelligente lasciarci finire questa pericolosa discesa», ha scritto in un post su Instagram. «Spero che sia uno spunto di riflessione per tutti».Ha vinto due giorni dopo lanciandosi in discesa a tutta velocità. Eanche l’ex corridore francese Pierre Rolland, hasostenuto che la discesa dalla vetta dell’Albula a La Punt non avesse senso, che abbia seriamente messo a repentaglio la sicurezza dei ciclisti.
Salite e discese sono l’essenza del ciclismo. E quei matti sulle due ruote sanno bene che il loro mezzo ultratecnologico e costruito per farli andare sempre più veloci, corre su copertoncini o tubolari larghi 25 mm. Che basta una distrazione… Ma quella in cui è avvenuta la tragedia è una discesa che i corridori svizzeri conoscono benissimo, perché in quella zona si allenano spesso, su entrambi i versanti del Col de l’Albula. E a 100 km all’ora la concentrazione deve essere massima.
Quei matti sulle due ruote sanno affrontare la discese, ma a volte interviene l’imponderabile. Il “nostro” Fabio Casartelli, nel 1995, morì 25enne al Tour de France nella discesa del Colle di Portet d’Aspet, vittima di una caduta collettiva, sbatté la testa contro un paracarro. Wouter Weylandt, belga di 27 anni,morì al Giro d’Italia del 2011 a seguito di una caduta in un tratto in discesa al passo del Bocco. Il belga 22enne BjorgLambrecht, morì al Giro di Polonia del 2019, cadendo da solo su una strada larga e piatta uscendo dal gruppo in fila indiana.
Fatalità? Certo, è ben diversa la questione della sicurezza dei ciclisti della domenica: per quelli sì che la lista è lunga. Ma tra i professionisti, per fortuna, i casi sono 4 negli ultimi vent’anni (https://it.wikipedia.org/wiki/Ciclisti_morti_in_incidenti_in_bicicletta). Dunque non si può parlare di allarme, non si può parlare di responsabilità che vanno comunque indagate. Fatalità. Nessun atleta rinuncerebbe mai alla velocità, all’ebbrezza della discesa, alla possibilità di staccare il plotone o di riacciuffarlo. Non ci si pensa. Non ci si deve pensare. È lo sport. E il ciclismo rimane uno sport bellissimo.
Di Massimo Vallini