Archiviati i fasti della “nazionale più forte di sempre” solo perché al completo di tutti i nostri rappresentanti nella Nba, preso atto che se anche tutti i più forti danno la disponibilità alla chiamata azzurra il risultato può non essere la migliore squadra possibile, Messina ha fatto delle scelte che non erano scontate: Alessandro Gentile e Andrea Bargnani non ci saranno, dopo una stagione impossibile da decifrare. Se i problemi fisici di Bargnani ne mettono addirittura in pericolo la carriera a soli 32 anni, Gentile ha cambiato tre squadre senza trovare pace e, soprattutto, il suo gioco. Alessandro non è una perdita da poco: secondo me, era stato il miglior azzurro dell’ultimo Europeo anche se a Torino, un anno fa, non aveva giocato bene. Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, diciamo che così la situazione è più chiara perché viene eliminata una convivenza tecnica e di leadership con Danilo Gallinari sempre sul filo del rasoio e mai davvero risolta. Idem per la difficile compatibilità in campo del Gallo con Bargnani.
Se Daniel Hackett dimostrerà di aver ripreso dal lungo infortunio, l’Italia avrà tre giocatori che hanno recitato ruoli importanti in Eurolega giocando all’estero, Datome che l’ha addirittura vinta, Melli e, appunto, Hackett su cui costruire il telaio europeo dove inserire gli “americani” Belinelli e Gallinari. E’ un quintetto molto competitivo. Purtroppo, il resto del gruppo viene da una stagione difficile. Abbiamo un sesto big di grande esperienza e sicurezza, Pietro Aradori che però è reduce della deludente e problematica annata della sua ex squadra, Reggio Emilia (senza coppe europee): lo stesso vale per Riccardo Cervi. Poi abbiamo giocatori di talento che, per ragione diverse, si sono fermati nel loro sviluppo come Della Valle o Abass, altri giovani molto interessanti che sono migliorati solo in attacco (e con Messina non è una bella cosa…) come Tonut e Flaccadori, veterani segnati da una stagione complessivamente difficile (Cinciarini) o giocata a metà classifica, un livello lontano da quello che ci aspetterà all’Europeo (Vitali). Poi c’è Pascolo che ha marcato visita e alcune novità assolute per completare il roster e dare una mano e un po’ di coraggio alla Filloy. Una, Baldi Rossi, per la verità, potrebbe diventare fondamentale ma anche l’ala di Trento è reduce da un lungo infortunio. Chissà.
L’Europeo, si sa, si gioca in attesa di una sola partita, i quarti di finale. E’ lì che si decide la gloria o la delusione ed è li che siamo caduti, magari con onore ma caduti, nelle ultime due edizioni, sempre con la Lituania. Purtroppo questa generazione non ha mai vinto le partite che avrebbero dato un senso compiuto ai suoi sforzi: non solo i quarti di finale nel 2013 e 2015 persi, ma anche la sfida con la Croazia, in casa nostra nel 2016, che dava il posto all’Olimpiade o quella con Ucraina e Serbia, nel 2013, che ci avrebbe qualificato al Mondiale. Credo che questo abbia a che fare con la leadership: abbiamo dei grandi giocatori ma non un leader naturale, neppure Gallinari o Belinelli, pur fortissimi, lo sono (o meglio, Gallo può essere e pretende di essere il leader tecnico attorno cui ruota la squadra, ma essere considerato tale, a livello emotivo e mentale, dal gruppo, è una cosa diversa). Possiamo solo salvarci con una idea di collettivo che negli ultimi anni è svanita perché la squadra, al di la delle parole e delle apparenze, non era davvero e sinceramente unita, come invece dava a vedere. Il secondo problema è puramente tecnico: nel basket di oggi, non avere un play micidiale in uno contro uno, è un guaio grosso.
Cosa dobbiamo aspettarci? Impossibile dirlo, visto che le competizioni per nazionali sono una roulette in cui conta come sta la squadra in quell’esatto momento, non due giorni prima o dopo. E quell’esatto momento, anche stavolta, saranno i quarti di finale: fino a quel punto la strada è tutt’altro che facile ma assolutamente alla nostra portata. E’ in quel giorno e a quell’ora esatta che l’esperienza e storia vincente di Ettore Messina dovrà portare l’Italia al massimo del suo potenziale mentale, fisico e tecnico. Senza fare grandi proclami, siamo fiduciosi.
Adesso faccio mea culpa: negli anni passati, seguendo e commentando le avventure dell’Italia, come tutta la stampa e la televisione nazionale e tutti coloro, allenatori, giocatori, dirigenti che ne hanno parlato, mi sono fatto trasportare da un concetto ribadito mille volte: “il bene della Nazionale”. Per mille motivi c’è stato un appiattimento nel quale, “per il bene della Nazionale”, appunto, abbiamo coperto, e quindi lasciato che andassero avanti così, tante cose che non evidentemente non funzionavano e che hanno minato, alla fine, i nostri risultati. Mi riferisco a situazioni come il dissidio profondo a livello umano (già dal 2013…) tra il presidente e l’ex c.t., le invidie latenti tra scuderie di giocatori che hanno portato ad alcune prestazioni senza un vero trasporto emotivo, momenti in cui è sembrato che ci fosse stato un golpe tecnico (la gara con la Spagna a Berlino), i ripetuti comportamenti spesso problematici fuori campo, soprattutto nei ritiri, di alcuni nazionali. Il risultato di questo generalizzato “tifo per la nazionale” e del volerne il “suo bene” a tutti i costi è che abbiamo sempre mancato l’obbiettivo a cui logicamente potevamo ambire, a parte la qualificazione al preolimpico 2016. Oggi credo che perché la squadra di Ettore Messina abbia successo, la verità sia più importante del quieto vivere e dell’immagine. In campo e fuori.
Luca Chiabotti