“Contro la stupidità neanche gli Dei possono vincere”. La frase è tratta dall’opera “La pulzella di Orleans” (Giovanna d’Arco) del drammaturgo tedesco Friedrich Schiller (1759-1805) e può essere presa come simbolo dell’Olimpiade di Tokyo 2020, che si svolge nel 2021 ma è rimasta col vecchio nome, e già si capisce quanto lo spirito di queste parole sia adatto a descrivere la situazione. Schiller crede nell’uomo che lotta per la libertà e si ribella a un destino già segnato, a una visione “già decisa” (da chi, poi?), inevitabile, non modificabile, quindi stupida, rappresentata dai persecutori di Giovanna d’Arco. Da questa stessa frase viene fuori il titolo di un romanzo di Isaac Asimov, scrittore di origine russa, considerato il maestro della fantascienza, che lo considera il suo migliore, pur in una produzione che annovera classici celeberrimi: “Neanche gli Dei”. Il titolo in lingua originale, inglese, è “The Gods themselves”, che può suonare anche come “Gli stessi Dei” o “Persino gli Dei”. Il concetto è quello: la stupidità è la forza più potente del creato, persino dello stesso Dio creatore!
Nel romanzo di Asimov entrano in conflitto addirittura due Universi, in ciascuno dei quali personaggi stupidi vanno alla ricerca di energia e, così facendo, rischiano di distruggere non solo la realtà contrapposta, ma anche la propria, mentre pochi altri usano tutta la loro intelligenza per fermare questi piani disastrosi. Ovviamente, non svelo il finale, faccio solo notare che Asimov divide il romanzo in tre parti, ognuna delle quali compone l’intera frase di Schiller: “Contro la stupidità”, “Neanche gli Dei” e infine “Possono vincere?”, con l’aggiunta di un punto interrogativo finale che lascia il dubbio su come la storia si concluda: vale la pena leggerlo per sapere se vinceranno gli stupidi o quelli che si ostinano a usare il loro cervello. Ma nel caso dell’Olimpiade di Tokyo il punto interrogativo non può esserci.
Per capire davvero come vanno le cose è sufficiente descrivere la tortuosa marcia di avvicinamento, dall’Italia al Giappone, di un giornalista, che poi è una linea lunga, storta e travagliata uguale per tutti. Diciamo che è una specie di diario che non finisce con l’arrivo a destinazione, ma continua fino al termine dei Giochi in una lotta perenne contro una mentalità diversa, che può anche essere rispettata e accettata, ma soprattutto contro un modo di fare che esclude l’elasticità e la semplicità, un modo di fare che viene assunto come scusa per giustificare, in fin dei conti, non un’altra visione della vita, ma la solita visione che può essere sintetizzata in questo concetto: facciamo un po’ come cazzo ci pare. Rudyard Kipling (1865-1936), lo scrittore britannico nato in India, autore del “Libro della giungla” e altri famosi romanzi ambientati in quei Paesi, disse una volta: “L’Oriente è l’Oriente, l’Occidente è l’Occidente, e non si incontreranno mai”. Giusto o sbagliato che sia il concetto in questione, gli organizzatori dell’Olimpiade di Tokyo, e sia chiaro, non i giapponesi in generale, hanno preso alla lettera quella frase e la stanno applicando meticolosamente. Vediamo come.
Comincio dai primi contatti, a distanza ovviamente. Ai giornalisti accreditati arrivano le indicazioni su come prenotare gli alberghi, la scelta, il modo di pagare, e come iscriversi ai servizi dedicati a loro, l’inserimento nel sistema informativo dell’Olimpiade, le password e tutto ciò che serve per essere inquadrati. Questa fase è molto più complicata di quanto possa apparire, ma il tutto viene complicato dalla situazione legata alla pandemia del Covid. Quando l’Olimpiade viene rinviata dal 2020 al 2021, i giornalisti hanno dovuto già pagare il 50% dell’albergo. E in prezzi, soprattutto per le Olimpiadi, ma anche per tante altre manifestazioni come i Mondiali, aumentano di almeno tre volte rispetto alla tariffa degli altri periodi. In questo caso, il Comitato organizzatore concede, a chi decide di non andare più a Tokyo nel 2021, il rimborso della somma già pagata. Il problema però è che, poco alla volta, aumentano le restrizioni per i giornalisti, che sono gli unici “esterni” alle Delegazioni sportive a partecipare ai Giochi. Un solo esempio: non hanno nemmeno la sicurezza di poter entrare negli stadi e nei palazzetti per vedere le gare, descriverle e commentarle, devono compilare un modulo con la richiesta per le gare cui vogliono assistere e poi aspettare che gli Organizzatori comunichino loro se possono entrare o no. Viene chiesto ai giornalisti di indicare più gare di differenti sport nella loro richiesta, in modo che se non saranno autorizzati ad assistere a una di queste, potrebbero essere dirottati su un’altra. Il punto è che se un giornalista è esperto di atletica e ha bisogno di assistere a quelle gare non può essere dirottato su una gara di tennistavolo, tanto per fare un esempio, senza che ne risenta il suo lavoro: perché magari non sa niente di tennistavolo, e questo è il danno minimo, ma soprattutto perché “deve” coprire l’atletica. Ma questo lo decide qualcuno che sta seduto in ufficio e nemmeno conosce i giornalisti, nemmeno sa di quale sport siano esperti e così via. Fra l’altro, se gli inviati che rappresentano grandi testate giornalistiche hanno una qualche forma di “protezione”, perché alla loro testata è comunque garantito un biglietto per gli sport di maggior rilievo e, in generale, di tutti gli sport, per gli altri la possibilità di avere il biglietto per entrare negli impianti diventa una vera lotteria, ancora più difficile da vincere perché il numero di posti in tribuna stampa è stato drasticamente ridotto.
Per la verità, ci sarebbe la possibilità di piazzare i giornalisti anche nei posti destinati agli spettatori, visto che si è deciso che nessuno potrà assistere alle gare, quindi senza limiti, ma gli organizzatori hanno deciso non solo che non permetteranno ai giornalisti di andare nei posti degli spettatori, ma addirittura di ridurre ulteriormente i posti in tribuna stampa, con quale logica non è dato sapere. Così, il giornalista di una testata “meno importante” ha meno possibilità di entrare negli impianti. E ancora meno ce l’hanno i “free lance”, i giornalisti non dipendenti di una testata, ma quelli che lavorano autonomamente, vendono i loro articoli a testate che non possono permettersi di mandare inviati in giro per il mondo. Questi ultimi rischiano di non ricevere nemmeno un biglietto per gli sport che hanno scelto, ma solo gli avanzi per sport che nessuno, o pochissimi, segue.
Anche ammettendo che queste decisioni siano giuste, sarebbe stato onesto a questo punto concedere una ulteriore possibilità di rinunciare ad andare a Tokyo ottenendo il rimborso delle spese di albergo. Invece, queste ulteriori e drastiche restrizioni sono state decise dopo che anche la seconda rata dell’albergo è stata pagata (siamo su un totale di 4.000 euro almeno, per una stanza di 12-15 metri quadrati, per arrivare facilmente ai 10.000 euro), senza più la possibilità del rimborso. E qui non stiamo parlando più delle differenze fra Occidente e Oriente, stiamo parlando delle rivalse sui più deboli.
Ma non è finita qui, perché si passa alle difficoltà burocratiche, le più fastidiose. Ai giornalisti, a poco meno di un anno dai Giochi, cominciano ad arrivare le istruzioni sui moduli da compilare, gli adempimenti da rispettare. Ma qui scatta la trappola. C’è il primo invio di istruzioni, una email con 5-6 allegati da scaricare, ognuno con istruzioni su qualcosa da fare, per un totale di un centinaio di pagine in inglese. Bisogna leggersele tutte e cominciare a mettere in pratica le istruzioni. Dopo qualche settimana, però, arriva una nuova email, con altri allegati e un messaggio importante: le precedenti istruzioni non valgono più, sono cambiate. Quindi, un altro centinaio di pagine da leggere per poi compilare altri moduli. Inoltre, istruzioni su app da scaricare sul telefono per poter lavorare a Tokyo. Si va avanti così per un anno: nuova email, nuovi allegati, annullati quelli precedenti, si ricomincia da capo, altre 50 pagine da leggere, altre 80 pagine da leggere, altre 100 pagine da leggere, nuovi moduli da compilare, nuove app da scaricare. Non è uno scherzo, è proprio così. La sensazione è netta: è il modo degli organizzatori per convincerci a rinunciare ad andare a Tokyo, meno gente, meno problemi, ovviamente senza essere costretti a ridare i soldi degli alberghi.
La faccio breve e arrivo alla fine di questa prima fase: dobbiamo scaricare una app, si chiama Ocha, che servirà al Governo giapponese per tracciare i nostri spostamenti minuto per minuto. E anche questo non è uno scherzo. Per scaricarla manca poco che serva un laureato del Mit, il Massachutes Institute of Technology. Comunque ci riusciamo, ma da questo momento comincia una vera discesa all’inferno, che descriverò nella prossima puntata.
Dal nostro inviato Gennaro Bozza
(1 – continua)