L’ha spuntata Jon Rahm, con -19, che è molto meglio di come appaia dietro muscoli da culturista, stile non purissimo, gesti di stizza verso gli spettatori indisciplinati e approcci zoppicanti. Il 23enne spagnolo ce l’ha fatta alle ultime buche dell’ultimo giro, sprintando sulla lepre, il più tecnico Justin Rose – che è crollato sotto la pressione del doppio traguardo del titolo locale e di quello della money list europea -, vanificando per un colpo solo tutta la stagione, con quel -19 da sogno che è diventato -17, e quarto posto. Mentre si sono piazzati secondi il tenace irlandese Shane Lowry e il thailandese Kiradech Aphibarnrat, uno dei pochi sovrappeso che sta bene così com’è, visti i risultati sul green. Con il solito, ottimo, Francesco Molinari 17° (a -12) e quindi 9° nella classifica di fine anno nella money list europea con 2 milioni 282 mila 706 euro.
L’ha spuntata, Rahm, il prototipo del giocatore moderno col, drive lunghissimo e la possibilità di arrivare in green con un colpo meno di tanti colleghi, rimontando gli apripista col suo gioco sempre d’attacco e un decisivo 67 nelle ultimo giro. Mentre, davanti, il primato di Rose appassiva insieme ai tre bogeys nelle seconde 9. Mentre la rivelazione Dylan Frittelli, sudafricano dal nome italianissimo emerso dai Challenge, e il connazionale Dean Burmester non tenevano il ritmo, e Sergio Garcia spegneva con una svirgolata in acqua una rimonta strepitosa. Mentre nel testa a testa tutto inglese con Rose, fra lui che era arrivato a Dubai in testa alla money list, ma poi aveva subito la rimonta, e quindi aveva recuperato per il crollo del rivale, Tommy Fleetwood, a sua volta si disuniva, recuperava, si smarriva ancora, facendosi superare nella gare anche dal nostro Chicco Molinari, per poi riparare sotto la tenda, e farsi confortare da compagna e figlioletto, in attesa del verdetto: aveva vinto o no la Race to Dubai? “Non lo so”, rispondeva schietto, e tesissimo, alla tv curiosa. “Sì, gli comunicava, poi, la sua dolce metà, esultando ed abbracciandolo, commossa. E provata. Perché, come in tante altre storie del golf, piene di clamoroso su e giù di rendimento e quindi di fiducia, il 26enne di Southport, talento giovanile di altissimo livello e più giovane campione del circuito Challenge, non voleva più gareggiare. “Wentworth 2016 resterà un punto di riferimento. Il giovedì mattina mi sono svegliato con l’intenzione di ritirarmi dl torneo perché proprio non pensavo poter venir fuori dal primo tee. Ero imbarazzato per come colpivo male. Ero impaurito di tutto quello che facevo. Invece ora so qui a festeggiare un risultato così importante, che ti garantisce tanto rispetto anche da parte dei colleghi, perché dimostra il livello di continuità e i miglioramenti, come giocatore e come persona. Ho sempre avuto aspettative molto alte, ora vedremo dove posso arrivare, anche se l’obiettivo finale resta diventare il numero 1 del mondo”.
Storie di golf. Com quella di Justin Rose che, dopo il Major agli Us Open 2013, continua a segnarsi come fantastico co-protagonista: dal secondo posto al Masters 2015 e di quest’anno, quand’è stato superato solo al play-off da Sergio Garcia. Si pensava che si fosse definitivamente rilanciato, dopo l’oro olimpico dell’anno scorso a Rio e la sensazionale rimonta del WGC Shanghai di un mesetto fa, quand’ha recuperato 8 colpi a Dustin Johnson all’ultimo giro, con un brillante 67. Vista da fuori, il sesto posto del mondo non è male, così come i quasi 5 milioni di euro di premi ufficiali stagionali sull’European Tour. Ma siamo sicuri che Justin avrebbe preferito vincere il torneo di Dubai, e salire sul primo gradino del trono del golf continentale.
VINCENZO MARTUCCI