Tutti parlano di Meo. Perché quando vince una persona come Sacchetti, (quasi) tutti sono contenti, a cominciare dai giocatori, quelli della sua squadra, quelli ha allenato, quelli con cui ha giocato. Sacchetti appare come la semplicità in persona, per come si pone nei confronti del basket e della vita, per il suo gioco apparentemente facile, spontaneo, veloce, poco cerebrale, spettacolare, divertente, istintivo. Poi ti rendi conto che anche la coppa Italia che ha conquistato domenica con la Vanoli, come le altre sue vittorie precedenti,sono diamanti unici nel panorama del basket italiano. Anche stavolta ha ribaltato i pronostici, stupito, dominato la scena con una squadra che a inizio stagione sembrava aver come unico obbiettivo la salvezza, dopo aver cambiato tutti gli stranieri senza garanzie, anzi quasi con la certezza, che i nuovi non fossero dell’altezza di Johnson-Odom, capocannoniere dello scorso campionato, o Kelvin Martin, esploso a Cremona a prelevato dalla Virtus Bologna. Invece è arrivato il primo trofeo della storia della Vanoli, dopo una Final Eight praticamente dominata in attacco e, anche, in difesa. C’è un metodo infallibile per capire se una squadra di Meo funziona davvero, e potremmo dire lo stesso di Mike D’Antoni: se all’attacco brillante unisce l’efficienza difensiva nei momenti chiave, allora può davvero battere chiunque. E’ inutile valutare una difesa con le cifre su 40’soprattutto per squadre che giocano molti possessi in attacco, anche se pure in questo campo, Meo potrebbe sorprendere: Cremona è seconda in Italia per numero di palloni fatti perdere agli avversari.
Ma come per D’Antoni e per certi versi per Carlo Recalcati, allenatori che si possono porre nella stesse corrente filosofica di Sacchetti (ex grandi giocatori, con un rispetto particolare per le qualità dei ragazzi che allenano e la capacità di esaltarne i pregi accettandone i difetti; teste tecnicamente brillanti ma non ossessionate dalla quantità del lavoroin palestra, apparentemente serene e distaccate dall’agone ma in realtà appassionatissime e dedicate al 100% al basket, con un modo sempre originale di interpretare il gioco, molto avanti anche se ormai sono dei vecchietti…), anche Meo ha impiegato molto tempo ad imporsi e a scacciare alcuni pregiudizi sulla qualità del suo lavoro. Ha fatto una lunga gavetta, è inciampato, non è mai stato chiamato da un top club italiano, non ha avuto problemi a scendere di categoria, dopo aver vinto tutto, per sentirsi bene. Oggi, che il suo valore sul mercato è al massimo e potrebbe ambire alla panchina di un top club, ha annunciato il rinnovo del contratto con Cremona fino al 2022perché il suo cuore sta bene lì, poi si vedrà. Vi do una dritta per capire veramente l’essenza di Sacchetti. In questi giorni su Eurosport Player e su Skysport si potrà vedere una bella e lunga intervista con lui dove parla di basket ma anche delle sue passioni e della sua vita. Che il video sia molto bello, ve lo garantisco perché l’ho fatto io con Andrea Bassani e Virginio Bernardi: è una produzione A Better Basketball. Modesto, vero? In realtà abbiamo acceso le telecamere, aperto il microfono e abbiamo lasciato parlareMeo. Scoprirete che quello bravissimo è lui, non noi. Scelgo uno tra i tanti spunti. Meo dice, parlando della sua filosofia e dei risultati raggiunti: “Tutti sostengono che il mio basket spettacolare è facile da realizzare, ma se lo è per davvero, perché non lo fanno anche gli altri?”. Una volta, ad una convention di allenatori, è salito sul palco e ha detto: “Io so che tutti voi pensate che io come allenatore non faccio niente, ma nessuno sa fare niente come lo faccio io”. Un’altra volta, parlando con Federico Pasquini, il g.m. del triplete di Sacchetti a Sassari, mi disse: “Accade spesso che davanti a una situazione di gioco, Meo dia una interpretazione sua e inaspettata rispetto ai canoni classici del gioco di quello che è successo e di cosa fare”. E’ per questo che Meo sorprende. Le sue vittorie non sono mai banali: nella prima coppa Italia vinta con Sassari, eliminò Milano (poi campione d’Italia) a Milano e sconfisse in finale Siena, poi finalista scudetto. Nel 2015, ha vinto la coppa battendo in finale Milano e, in semifinale, la finalista scudetto Reggio Emilia: ha poi eliminato l’Olimpia nei playoff conquistando il primo scudetto della Dinamo. Adesso ha portato la Vanoli al suo primo trofeo: sono tutte grandi imprese sportive. Anche se è politicamente scorretto dirlo, sappiamo bene che anche le vittorie hanno un peso differente: se vinci da strafavorito, è bello ma conta meno. Lo scudetto di Varese di Recalcati o quello della Sassari di Sacchetti hanno un valore storico ed emotivo superiore ad altri assolutamente meritati ma più scontati.
Ma c’è anche per Sacchetti, la kryptonite verde che può azzerarne i superpoteri. Lo ha ripetuto anche dopo la vittoria di domenica: Meo deve stare bene perché la sua squadra stia bene. Ha bisogno di essere a sua agio in una situazione perché possa trasmettere i suoi valori alla squadra, deve sentire chiarezza attorno a sé altrimenti finisce male. Sacchetti è uno diretto, dice quello che pensa e, come spesso accade, le persone così possono creare problemi. E’ anche probabile che, al di la delle apparenze, non sia così semplice, per un club, gestire uno come lui. E questo mi fa pensare alla prossima fatica di Sacchetti: venerdì torna in campo la Nazionale di cui Meo è c.t. dal 2107. Se gli azzurri batteranno l’Ungheria, l’Italia andrà al Mondiale per la prima volta dal 2006. Ci siamo complicati la vita perdendo malissimo in Olanda e male in Polonia. Anche con Meo, non va sempre tutto liscio. Abbiamo parlato mille volte dei problemi della Nazionale, delle “finestre” che costringono le squadre a rinunciare ai loro migliori giocatori impegnati nella Nba e in Eurolega nelle qualificazioni alle grandi manifestazioni. Nel nostro caso, non solo Sacchetti finora ha dovuto fare a meno di Gallinari e Belinelli, ma ha potuto disporre solo per due gare di Datome e Melli e per 4’ di Hackett.Però sono nate ugualmente delle polemiche con gli azzurri che giocano nella Nba e che non si sono resi disponibili per l’azzurro neppure in estate, quando avrebbero potuto,candidandosi però per il Mondiale. Ma se ci qualificheremo, Sacchetti li convocherà? Il presidente Petrucci è intervenuto nella diatriba parlando coi giocatori e garantendo loro che ci saranno. Secondo me avrebbe invece dovuto dire: “Voglio un’Italia al completo, ma le convocazioni spettano al c.t.”. Perché le posizioni del c.t. vanno sostenute per dare solidità al suo messaggio (non è stato sempre così con Simone Pianigiani, ad esempio). Soprattutto se il c.t. è Sacchetti: ricordate la kryptonite di cui sopra e la necessità di Meo di poter vivere con chiarezza il rapporto con la sua squadra per ottenere dei risultati? Speriamo di battere l’Ungheria, che l’Italia partecipi al Mondiale e che Sacchetti possa andarci con la squadra che sente più sua, senza condizionamenti: ha le spallone larghe e la faccia per assumersi tutte le responsabilità delle scelte. Lo sto dicendo da tifoso dell’Italia. Perché, sintetizzando: Meo vince perché è unico, non è unico perché ha vinto.