Campione d’Italia, d’Europa e del mondo in carica: con risultati eccezionali come quelli ottenuti nel 2019, è naturale che Simone Anzani arrivi alle Final Four della Del Monte Coppa Italia (domani e domenica all’Unipol Arena di Bologna) carico di entusiasmo. “Lunedì compirò 28 anni e chissà che la festa non cominci il giorno prima, con la vittoria del trofeo. Sarebbe il ragalo più bello che potrei ricevere. Accompagnato dalla mia torta preferita, quella alla ricotta di nonna Francesca, la mia carissima vicina di casa: mi conosce da sempre ed è parte della famiglia” dice il centrale comasco della Cucine Lube Civitanova di SuperLega e dell’Italvolley già qualificata a Tokyo 2020.
Tra club e Nazionale sei in moto perpetuo. Cosa mette in valigia un “globetrotter” come te?
“Le scarpe da gioco. Guai se non le avessi con me, per questo controllo più di una volta di averle infilate nel trolley e ne porto due paia nei viaggi lunghi: non si sa mai. Insieme al supporto a ragno per l’iPad: inganno il tempo con le serie tv. Ho appena terminato la sesta stagione di ‘Homeland’, preferisco quelle d’azione”.
Di cosa senti la mancanza, quando sei in trasferta?
“Degli affetti, anche se un po’ mi sono abituato. Sono andato ad abitare a Treviso, per giocare nella Sisley, da ragazzino e ho continuato a spostarmi. Nelle persone a cui voglio un bene dell’anima è compreso il gruppo di compagni di squadra con i quali sono cresciuto proprio a Treviso. Thomas Beretta, per esempio, che mi ritrovo come avversario: è il capitano della Vero Volley Monza.
Centrale come te: cosa vi dite, faccia a faccia sotto rete?
“Parole irripetibili (ride, ndr). Seguìte dai commenti a fine gara e dalle prese in giro nel caso uno si sia beccato dall’altro un muro stratosferico”.
I centrali spesso si lamentano del ruolo: essere sostituiti dal libero scoccia non poco. Hai mai sognato di diventare opposto?
“No, forse perché è sempre stata questa la mia posizione: a 16 anni ero già alto 2 metri e il mio primo allenatore non ebbe dubbi su dove piazzarmi. E poi il mio posto in campo mi piace”.
Per un motivo in particolare?
“Sì, per il muro: è un fondamentale che dà grande soddisfazione. Facci caso: l’esultanza più esplosiva, quella che coinvolge l’intera squadra e unisci tutti in un abbraccio vigoroso, arriva sempre dopo una schiacciata o un muro. Non sembra, eppure bloccare chi hai di fronte è un gesto tecnico complicato: richiede attenziona totale, devi ‘leggere’ le intenzioni del palleggiatore e anticipare l’attacco al momento giusto”.
Il tuo muro più spettacolare?
“Nella finale di Coppa Italia del 2018. Giocavo nella Sir Safety Perugia e sfidavamo il mio club attuale: ho stoppato Dragan Stanković, centrale straordinario, con una mano. Mica male, no?”.
Sei tra i pochi atleti professionisti che studiano: come procede l’università?
“A rilento, purtroppo. Sono iscritto al secondo anno di Fisioterapia, ma mi mancano due esami per finire il primo. I ritmi elevati del lavoro non lasciano spazio allo studio e ho deciso di prendermi una pausa: mi servirà a schiarirmi le idee. L’obiettivo, però, resta quello di laurearmi. Il corso mi interessa tantissimo: il corpo è il mio attrezzo da lavoro e lo conosco bene, la fisioterapia fa già parte della mia routine e approfondire la materia mi torna molto utile“.
Un altro obiettivo che ti sei prefissato?
“I Giochi, sarebbero i miei primi: ho mancato Rio 2016 per un soffio e incrocio le dita. Pensa che non mi sarei mai immaginato di puntare a un traguardo del genere, lo dicevo qualche giorno fa ai miei genitori. Anche se ricordo di aver confidato alla Commisione, durante l’esame di maturità scientifica, che avrei provato a trasformare la passione per il volley in mestiere. Ho partecipato alle competizioni più prestigiose del mondo, vado fiero delle medaglie vinte e ho vissuto emozioni incredibili, ma indossare la maglia azzurra a Tokyo sarebbe una gioia che non ho ancora provato”.
*Credito foto: Spalvieri