Bloooog!
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Se alla Juve l’allenatore rischia di restare anche quando non si vince nulla, al Napoli l’allenatore se ne va dopo uno scudetto che ha fatto il giro del mondo. No, siamo chiari, meglio chiuderla subito qui questa storia tra Spalletti, De Laurentiis e il Napoli. Sarebbe un sacrilegio rovinare con ulteriori veleni uno scudetto che ha fatto storia e che è andato ben oltre il semplice successo di una squadra di calcio.
Lo so che sembra assurdo, ma non è così raro. Non più tardi di due anni fa Antonio Conte ha lasciato l’Inter dopo averla riportata allo scudetto dall’epoca di Mourinho. Certi allenatori dopo aver vinto vogliono il potere assoluto, e non sempre può venir loro concesso. Ti possono dare dei soldi, anche tanti, possono pagarti il prezzo della tua impresa, ma è sempre un rapporto mercenario, l’ammiragliato, il potere, il patrocinio e la firma restano previlegio del padrone di casa. Figuriamoci se uno come De Laurentiis si fa imporre dall’allenatore come governare la sua squadra e come spendere i propri soldi.
La vittoria è di tutti, ma se ne diventa padroni in troppi, ognuno ne pretende il pezzo più grosso e la gelosia finisce col corrodere i rapporti umani. E’ assurdo ma è così: il Napoli ha vinto lo scudetto con cinque giornate d’anticipo, alla terzultima sappiamo già che qualcosa si è irrimediabilmente sfasciato e che il Napoli che ha vinto lo scudetto 33 anni dopo Maradona non sarà più lo stesso. Se aspettiamo ancora una settimana magari De Laurentiis ci dirà quale sarà il prossimo allenatore del Napoli (Benitez, Conte, Palladino o chi altro?) e Luciano Spalletti ci dirà se si ritirerà ancora una volta nel suo ranch in Toscana, oppure magari accetterà l’offerta di qualche altro club. La principale preoccupazione del Napoli è che non vada alla Juventus. Magari insieme a Giuntoli. Anche se oggettivamente non sarebbe male: la Juve nei guai che scopiazza il compito in classe del Napoli…
Se anche ci fosse ancora uno spiraglio per continuare così, con questa formazione e con questa catena di comando, De Laurentiis si è messo subito a fare – giustamente, umanamente, presuntuosamente? – il pavone, e Luciano Spalletti ha preso a parlare come quando si sa che gli ha preso molto male e dunque non promette niente di buono. “Tarpare le ali? Io non devo volare da nessuna parte. Per quello che devo fare non mi servono le ali ma solo un paio di stivali”. “Tra vincere e rivincere la cosa più difficile è vincere con una squadra che all’inizio indicavate tutti come ottava”. “Non ho rifiutato nessun aumento, non ho alcuna clausola da pagare, non ho alcuna squadra dove andare”. “Ci pensa il presidente a tenere tutti sulla corda, lui è bravo a tenere la corda tirata”. “Mi pare che qui ora bisogna lottare per vincere la Champions League”. Il calcio funziona così, nessuno parla chiaro e diretto finché c’è un contratto o dei soldi in ballo, si va per allocuzioni e contorsionismi.
Per poi infarcire il tutto con i suoi soliti ghirigori lessicali: “Bisogna andare sempre dentro lo scorrimento delle situazioni…”; “è leggibile dove andare a tentare di cambiare qualcosa”; “io ho una pettorina dove davanti c’è scritto che sono felice e dietro che sono infelice, sono molto vicine le due situazioni”.
Prima che finisca a piatti in faccia come la “Guerra dei Roses”, meglio una separazione civile e consensuale. De Laurentiis e Spalletti sono i due classici galli nello stello pollaio, pronti a beccarsi a morte. Più salutare che uno esca. Ed essendo il pollaio di De Laurentiis sembra scontata chi dovrà farlo. Peccato? Beh, sì peccato, lo scudetto del Napoli ci aveva fatto credere che nel calcio esistessero ancora le favole. “Maronn ‘ro Carmin!”, stupidi noi a crederlo.
Articolo e foto ripresi da www.bloooog.it