In Germania, a Saarbrücken, il 21 giugno 1964 Sergio Ottolina fa una gara delle sue e porta a 20”4 il primato europeo dei 200 metri piani. Migliora il record di Livio Berruti che in 20”5 aveva vinto semifinale e finale olimpica ai Giochi di Roma, quattro anni prima.
Quell’aggiornamento di primato resistette per otto anni. Soddisfazione doppia per lui visto che Berruti era lontano le mille miglia dal suo modo di vedere la vita: “È un chierichetto mentre io so godermi la vita”. In realtà Ottolina era un casinista che trovava nella pesca il suo momento di astrazione dal mondo. E nelle ragazze divertenti evasioni.
Quel record sembrò un viatico per Tokyo, l’Olimpiade in programma in ottobre, ma l’istinto – che governava le sue mosse – indusse Ottolina in Giappone a una distribuzione folle delle energie: nella finale olimpica dei 200 uscì bellamente in testa all’uscita dalla curva, ma nei metri che mancavano al filo di lana imballò l’azione.
Lo risucchiarono tutti gli avversari, chiuse ottavo e ultimo, anche se poi Ottolina, giocherellone, trasformò quell’ottavo in “ottimo”. Per dire che comunque lui se l’era giocata la medaglia, ci aveva provato.
Era arrivato per caso all’atletica, non certo per amore: frequentava il Gonzaga, istituto retto dai Fratelli delle Scuole Cristiane e in vista dei campionati studenteschi venne esentato dalle lezioni chi poteva ambire a un risultato. Gli osservatori della federazione si avvidero di lui e a 15 anni smise di studiare, con la migliore delle giustificazioni.
Nell’atletica seriosa degli anni Sessanta, ben prima che arrivasse un altro asceta come Pietro Mennea, gli unici due fuori dal coro furono Sergio Ottolina e Edy Ottoz, che una ne facevano e dieci ne pensavano, per “colorarsi la vita”, esempi di un talento certo ma altalenante, spesso dispersivo. Uomini liberi da ogni condizionamento, pronti a pagare le incomprensioni che destavano in dirigenti mal disposti all’ironia, ben lontana dalle loro corde. Uno scherzo di Sergio ai danni del suo “amico Livio” furono le finte nozze in campagna. Ottolina si recò nel paese natio di Berruti da cui spedì le partecipazioni e Berruti impiegò oltre un mese a restituire i regali.
Scanzonato, guascone, capace di allungare l’Olimpiade messicana nel 1968 consentendosi al termine un mese e più di scorribande in moto, la sua, portata con sé nel viaggio da Roma, imbarcata sull’aereo degli azzurri (in deroga a tutti i regolamenti): 8.500 chilometri in solitudine, talvolta in compagnia, da Mexico City a New York, per il gusto di visitare le riserve indiane.
Ottolina scoprì allora che i pellerossa il cavallo lo tenevano nelle riserve: gli preferivano la moto, spesso più bella della sua. Durante le Olimpiadi messicane si era comunque distinto partecipando a una rissa fra atleti di Trinidad Tobago e gli australiani, al Villaggio, perché questi ultimi non riuscivano a dormire. Tasso alcolico alle stelle, complice l’italianissimo Valpolicella, parole grosse che volano e Ottolina schierato dalla parte dei neri. Contusioni, ecchimosi,
niente di più.
Ottolina si definiva un “incosciente di successo”, un dato confermato dall’incidente, ovviamente in moto, che gli precluse la partecipazione ai Giochi di Monaco 1972, giusto alla vigilia: il malleolo fratturato unitamente a tre vertebre fuori asse gli costarono la partecipazione alla sua terza Olimpiade e l’addio all’atletica. In compenso volle partecipare al Giro d’Italia dell’anno successivo, in sella a una moto dell’organizzazione. Lui guidava, alle sue spalle il “lavagnista”, che annotava su una lavagna, ben visibile, il vantaggio dei fuggitivi e lo sottoponeva all’attenzione del gruppo, munito di gessetto e cancellino. Le radioline, ovvio, e nemmeno Radio-corsa nei termini attuali, erano di là da venire.
Tre anni dopo, mai domo, concorreva come bobista in un
equipaggio nella versione a quattro, capace del terzo posto ai campionati italiani a Cortina. Per sentirsi più vivo che mai. Mestieri poi, non pochi: venditore per Sergio Tacchini, istruttore di snorkling alle Maldive per tre anni, giornalista per La Gazzetta dello Sport
sotto pseudonimo, corrispondente dal Sudafrica. Cronista
improvvisato, ma efficace.
Sergio Meda