Chiamatelo evoluzione di Michael Chang, chiamatelo clone di Novak Djokovic, chiamatelo Il professore, per via degli occhiali che l’accompagnano sempre in campo e per quell’aria seria e compassata di chi non si sconvolge mai ma proprio mai. Di certo Hyeon Chung, il primo sud coreano che avanza ai quarti di uno Slam, al di là della super vittoria in tre set contro Novak Djokovic agli Australian Open, farà parlare ancora molto di sé e del suo tennis modernissimo, senza buchi neri, fatto di ritmo elevato, accelerazioni, profondità di colpi e copertura totale del campo. E, ogni qual volta se ne parlerà, nella sua biografia comparirà almeno due volte la parola Italia: perché fu battuto nella finale di Wimbledon juniores 2013 da Gianluigi Quinzi e perché, il suo albo d’oro si apre con le prime NextGen Finale under 21 a novembre a Milano.
Proprio lì, nell’hangar della Fiera di Rho riadattato al tennis, aveva mostrato alcune caratteristiche che ci hanno fatto ripensare ai due famosi tornei giovanili sempre di Milano, l’Avvenire under 16 e il Bonfiglio under 18, dove eravamo soliti scoprire i talenti che avremmo poi ammirato da professionisti. Chung aveva le stigmate del camioncino, più solido di gioco e di testa di tanti coetanei più dotati di talento tecnico e potenza, come si era visto chiaramente dalle lezioni che aveva impartito ai figli di Russia, Medvedev e Rublev (due volte). Serio, attento, preciso, sempre pronto a risollevarsi, sia davanti a un bel colpo dell’avversario che a un errore proprio, con due gambe a molla impressionanti e la naturale capacità di non perdere mai l’equilibrio in qualsiasi situazione di gioco, ci aveva anche colpito per la deferenza e il rispetto che gli veniva tributata dai coetanei. Gente obbligatoriamente orgogliosa ed egocentrica, eppure umilissima nell’accettare le qualità “da giocatore” del coreano silenzioso, ma non timido. Qualità che avevano già provato sulla propria pelle in altri tornei e sulle quali avrebbero scommesso da subito. Ben sapendo quanto sono importanti nello sport in generale, e nel tennis in particolare.
Lui stesso, del resto, parlando dei suoi eroi tennistici, non aveva avuto dubbi – come al solito -, e aveva dichiarato solenne: “Il mio idolo è Novak Djokovic”. Ecco chi era quell’altro giocatore che, sin da giovanissimo, si era guadagnato il rispetto di coetanei e vicini di banco a scuola! Così, ci erano tornate alla mente le parole di Ernests Gulbis, che aveva studiato con lui all’Accademia di Niki Pilic e ne elogiava le straordinarie qualità da ”professionista”. Proprio lui, Novak, l’atleta che si era perfezionato in palestra, il tennista che aveva colmato tutte le lacune. Chung ha fatto lo stesso, imitandolo, col rovescio più naturale, ma il dritto che ha imparato a tirare trasformandolo in arma decisiva, il servizio che s’è fatto piano piano, la straordinaria capacità difensiva, l’abnegazione nel chiudere tutti gli spazi e nel rimettere una palla di più di là del net che demoralizza gli avversari. Per Nole – pur handicappato dal gomito ancor malconcio, senza tante partite nella gambe, visto che non giocava in torneo da luglio a Wimbledon, e con scarsa fiducia – dev’essere stato un incubo ritrovarsi davanti allo specchio, ed essere costretto, per una volta, a spingere e a far gioco lui per recuperare un punteggio sempre in salita e una situazione psico-tattica sempre più compromessa.
Non ce l’ha fatta perché s’è trovato davanti una macchina da tennis, senza emozioni, che ha reagito alle situazioni più delicate: Chung s’è fatto raggiungere, ma è sempre ripartito, dal 4-0 del primo set, dal 4-1 del secondo set, dal 3-0 del terzo set. Contro l’ex numero 1 del mondo di due anni fa, il campione di sei Melbourne, la superstar che schiera addirittura due ex giocatori di nome come coach, Agassi e Stepanek, l’uomo che ha smantellato il duopolio Federer-Nadal.
Nessuno si sorprende veramente, almeno negli spogliatoi, almeno fra i coetanei. Proprio com’era successo al giovane Djokovic che si affacciava sulla massima ribalta gridando ai quattro venti: “Diventerò numero 1”. Perché Chung aveva appena castigato anche Sascha Zverev, il giovane che si candida in modo più autorevole al ruolo di numero 1, e ci era riuscito respingendogli come un muro qualsiasi bordata da fondo e scardinandogli la sua arma più importante, il servizio. E “il principino”, anche lui legato all’Italia dalla prima importante affermazione in un torneo Masters 1000, a Roma, si era inchinato al coreano che non sorride: “Se gioca in questo modo, sono in pochissimi quelli che possono batterlo”. Il problema è che Chung è migliorato tantissimo, non solo rispetto a due anni fa, quando a Melbourne con Djokovic ci perse in tre facili set, ma anche rispetto alla passerella di novembre a Milano: dritto e servito funzionano molto meglio, e i cali sono meno clamorosi. Del resto, il punteggio stesso del suo successo più importante dice tantissimo: 7-6 7-5 7-6 significa lotta, tanta lotta, ed equilibrio, e capacità di trovare le soluzioni. Alla Djokovic, o alla Chung. Un successo che può catapultarlo anche semifinale se replicherà il successo di Auckland d’inizio anno contro il Carneade Tennis Sandgren, l’americano che proprio nessuno, a cominciare da lui stesso, si aspettava così lontano. Dopo aver tanto navigato a vista nel purgatorio dei tornei Challenger.
VINCENZO MARTUCCI