Carlos Alcaraz è un’illusione, un miraggio. Impressiona per i muscoli, che guizzano in evidenza sotto la canottiera, ma non è la forza la leva che utilizza per rovesciare il mondo.
Impressiona per i record di precocità, da sempre, da subito. Fino ad arrivare adesso al secondo successo ATP Tour, il primo 500, a Rio, col quale ruba il primato all’altro ragazzo prodigio, il nostro Jannik Sinner, ed entra nei top 20 a 18 anni e 9 mesi. Come, meglio di lui, nel tennis Open, solo l’ucraino Andrei Medvedev, a 18 anni 5 mesi, nel 1993, e lo statunitense Pete Sampras, a 18 anni 6 mesi, nel 1990, battendo però di un mese il dio del tennis spagnolo, Rafa Nadal che c’è riuscito a 18 anni 10 mesi nel 2005.
Ma il segreto nel fenomeno di Murcia è altrove e lo colloca anche al di sopra dei suoi illustri predecessori.
FONDAMENTA SOLIDE
Carlos è il terzo Carlos tennista della famiglia, dopo il nonno e il padre, ha un allenatore coi controfiocchi come l’ex numero 1 del mondo, Juan Carlos Ferrero, che ascolta come un vate. Vive lo sport professionistico con responsabilità, curando tutti i dettagli sin dai 16 anni quand’è piombato sul circuito come un uragano, battendo Albert Ramos-Vinolas nel debutto proprio a Rio del 2020, più giovane, sette anni dopo Garin a Vina del Mar 2013. Ed ha continuato inanellando record, aggiudicandosi l’anno scorso il primo titolo pro ad Umago, diventando il più giovane, a 18 anni, ai quarti agli US Open, eliminando strada facendo Tsitsipas al tie-break del quinto set e chiudendo l’anno con un bilancio di 32-17, il primo così giovane a superare quota 30 vittorie dopo il Medvedev ucraino del 1992. Carlos si muove bene, ha forza e resistenza, accetta gli stop ai box per ritoccare il motore, conosce i suoi limiti e le sue pause mentali, sostiene con personalità l’etichetta di “super” che, dopo l’ingombrante Rafa, con ancora lo straordinario Rafa in circolazione, con l’incredibile Rafa capace di vincere ancora gli Slam come a Melbourne e diventare il primatista assoluto con 21 tacche, sarebbe probabilmente un peso schiacciante per quasi tutti.
IL SEGRETO DI CARLOS
A 18 anni, Medvedev, Sampras e lo stesso Rafa stupivano il mondo con le loro armi, evidenziando una delle massime del tennis: per eccellere devi possedere un colpo decisivo, risolutivo, ma nello stesso tempo mostravano le loro imperfezioni e quindi gli evidenti punti deboli. Insomma, non erano completi: uno particolarmente lento e legnoso oltre che facile alle distrazioni fuori del campo di gara, per poi crollare nella love story con la collega Anke Huber, l’altro troppo offensivo e molto più debole in difesa, particolarmente vulnerabile negli scambi lunghi e sulla terra rossa, l’altro ancora condannato a girarsi sempre sul dritto per risolvere i problemi, almeno nella prima parte della carriera.
Al contrario, la precocità di Alcaraz è ancora più eclatante perché ottiene voti alti in tutte le materie, dai colpi all’attitudine, dalla versatilità alla capacità di reazione e, soprattutto, di trovare le soluzioni. Oltre a una velocità di esecuzione che certi professionisti come l’ultimo avversario, Diego Schwartzman, nella finale di Rio, sono soliti imporre agli avversari ed invece devono subire dallo spagnolo.
Mostrando il suo gioco yo-yo, fatto di violente e profonde smanacciate da fondo sugli angoli alternate a micidiali smorzate e discese a rete in contro-tempo: un cocktail micidiale per il monocorde e muscolare bim-bum-bam di tanti, l’evoluzione della specie che Carlos porta avanti col chiaro obiettivo di diventare numero 1 del mondo. Che Medvedev, Sampras e Nadal, a 18 anni, non immaginavano neppure.
Forse anche perché, davanti vedevano dei mostri di qualità e continuità e cattiveria agonistica che oggi, con i Fab Four sul viale del tramonto, Alcaraz non vede di sicuro.
Vincenzo Martucci (testo e foto tratti da supertennis.tv)