Premessa
Molte persone pensano di possedere cultura ed etica sportiva perché guardano lo sport alla televisione, vanno allo stadio, ogni tanto corrono o giocano al campetto, discutono di sport al bar, leggono la Gazzetta dello Sport: questa non è cultura,
questa non è etica!
La cultura sportiva
La cultura sportiva è l’insieme delle esperienze e delle sensazioni maturate con il passare del tempo in ambito sportivo e l’etica è il saper vivere e applicare tutto ciò in modo corretto. Lo sport è una questione di buona educazione e di cultura, la
cultura etica è la vera arma di cui dispone lo sport: un potenziale di valori, principi, emozioni, che se espressi possono migliorare la qualità della vita non solo di chi pratica attività sportiva, ma anche di chi la segue o la tifa.
Le Agenzie Educative che devono promuovere una corretta cultura sportiva e insegnare ai giovani una corretta etica di comportamento sono:
– la Famiglia;
– la Scuola;
– la Società Sportiva.
Ogni Famiglia deve essere il centro dei valori umani, la famiglia è la “casa” dei valori umani, perché è da lì che essi nascono, sbocciano, fioriscono e portano il giovane alle alte vette di questo tipo di cultura.
I Genitori devono essere sempre e in ogni occasione il “buon esempio” per i loro figli, in tutti gli ambiti. In tribuna devono comportarsi da persone intelligenti e corrette.
A Scuola, il “buon esempio” deve venire dagli Insegnanti. L’Insegnante deve far riscoprire i valori dello sport, deve essere un “modello” per i suoi allievi, un provocatore di “vocazioni sportive”, un ideale per loro.
Nelle Società Sportive, il “buon esempio” deve venire dagli Istruttori, Allenatori e dai Dirigenti. Gli Istruttori e gli Allenatori devono essere la guida dell’atleta e della squadra, devono incanalare tutte le risorse del singolo e del gruppo, sfruttandole al meglio, per cercare di ottenere i risultati migliori e i Dirigenti devono “dirigere”, devono fornire consigli, indicazioni corrette.
Tutte e tre queste Agenzie Educative dovrebbero ogni tanto andare a scuola di agonismo, di etica, di buon esempio e di “Fair-play” e dovrebbero convogliare i loro sforzi verso il soggetto e non essere divergenti.
L’etica sportiva
Quanto conta l’etica nello sport?
L’etica è tutto ed è formata da quattro D:
dedizione;
disciplina;
determinazione;
dare qualcosa di più.
Questa è la formula del successo, che vale in tutte le fasi della vita e non solo nello
sport.
Il buon esempio nello sport
I “buoni esempi” nello sport devono nascere dalle Agenzie Educative (Famiglia, Scuola, Società Sportiva) e di conseguenza dai genitori, Insegnanti, Istruttori, Allenatori e Dirigenti.
Spesso la televisione, i giornali, i social ci mostrano dei cattivi esempi nello sport: aggressioni agli arbitri (verbali e fisiche, non ultima quella di Renzo Ulivieri, tecnico del Pontedera femminile, tra l’altro ex vice presidente della F.I.G.C. con Tavecchio), aggressioni ai giocatori della squadra avversaria, insulti e aggressioni da parte dei genitori verso l’arbitro e gli avversari, bestemmie, sputi in campo (la TV inquadra spesso i calciatori che sputano), simulazioni di falli, …….). E i giovani guardano, assimilano e si comportano di conseguenza, lo stesso dicasi dei genitori, degli Istruttori e Allenatori, che poco hanno di Educatori!
E se invece ci mostrassero più spesso dei buoni esempi di fair play non sarebbe meglio? Lo sport da sempre è stato caratterizzato da un alto grado di competitività, specialmente ad alto livello. La sfida è un elemento importante della gara, la correttezza e la solidarietà sono gli elementi fondamentali perché qualsiasi premio abbia valore.
Esistono molti esempi di “fair play” nello sport entrati di diritto nella storia. Ne riporto alcuni, perché possano fungere da esempio e da monito per tutti coloro che non afferrano l’importanza della correttezza.
1) Nel 2012, Eric Fontanari, 17 anni, tetraplegico, che partecipava alla “Venice Marathon”, al 25esimo chilometro accusò alcuni scompensi fisici e non fu in grado di proseguire. Alex Zanardi vide la scena, cercò di spronarlo, ma quando si
rese conto che il diciassettenne non era in grado di arrivare a destinazione, sganciò la ruota anteriore della handbike di Eric e con una corda lo trainò fino al traguardo e così concluse la gara!
2) Nel 2016 sull’isola di Cozumel in Messico, il triatleta Jonathan Brownlee nell’ultima tappa delle “World Series” di Triathlon era nelle prime posizioni e purtroppo, a pochi metri dalla linea di arrivo, un colpo di calore gli annebbiò la
vista e si fermò. In suo soccorso arrivò suo fratello Alistair che lo accompagnò sostenendolo fino al traguardo: i due fratelli salirono sul podio e si aggiudicarono il secondo e il terzo posto.
3) Nel 1952 al Tour de France Gino Bartali e Fausto Coppi erano in testa sull’Alpe di Suez e uno dei due, mentre stava bevendo, si accorse che il suo antagonista era senza borraccia. Non si sa ancora chi fosse dei due senza borraccia, ma il gesto spontaneo compiuto da uno dei due, è da immortalare e da portare come esempio!
4) Nel 1964, ai Giochi Olimpici Invernali di Innsbruck, il bobbista azzurro Eugenio Monti prestò alla squadra inglese di bob, il suo “bullone” per dare loro l’opportunità di gareggiare. Al termine della discesa, per commentare la vittoria
dell’equipaggio inglese, Monti dichiarò: “Hanno vinto perché sono andati più veloci, non perché gli ho dato il bullone”.
5) Nel 2000 a Liverpool, al “Goodison Park”, Paolo Di Canio, attaccante del West Ham, vedendo il portiere avversario a terra per infortunio, fermò con le mani il pallone un attimo prima di calciarlo in porta.
6) Nel 2004, durante i Giochi Olimpici di Atene, Michael Phelps, dopo aver conquistato sei medaglie d’oro, decise di non partecipare alla staffetta mista 4 x 100 mista per dare l’opportunità ad un compagno di squadra di salire sul podio e
vincere l’oro.
7) Nel 2005 agli Internazionali d’Italia di tennis, l’allora numero uno del ranking ATP, lo statunitense Andy Roddick, durante l’incontro con lo spagnolo Verdasco, smentì l’arbitro (che gli aveva assegnato un punto dubbio e la vittoria finale), consentendo al suo avversario di rientrare in partita e di vincere l’incontro e approdare ai quarti di finale.
8) A Doha, in occasione dei campionati mondiali di atletica, Braima Suncar Dabó, ventiseienne atleta guineano, durante la volata finale della gara dei 5000 metri, strappò l’ovazione di tutto il pubblico per essersi fermato a soccorrere un altro
atleta che era stramazzato al suolo per la fatica. Il suo gesto e quegli ultimi 250 metri fino al traguardo, percorsi abbracciato all’avversario che aveva aiutato, sono rimasti nella memoria di tutti gli sportivi.
Conclusioni
Sarebbe ora di Educare le famiglie, la Scuola e le Società Sportive all’insegnamento della buona condotta in campo e fuori, dei propri figli, studenti e giocatori, solo così potremmo risolvere il problema del bullismo, della maleducazione, dell’insofferenza e dell’inganno anche nello sport!