La realtà è molto amara. E cruda. Chi ha i soldi si porta a casa i grandi campioni, gli altri le briciole. I futuri organizzatori di quasi tutti gli sport – in primis i Paesi arabi – si riempiranno la bocca di rispetto per i giocatori e di garanzie sui diritti umani e civili, ma continueranno a reprimerli, guidati dal Dio Denaro. Nulla di nuovo sotto il sole, anche se alla lunga comporta uno scenario drammatico, con rischi per la salute degli sportivi e con la delocalizzazione sempre più massiccia dei grandi eventi. In economia delocalizzare significava lavorare a costi più bassi, nello sport significa incassare i guadagni più alti. A fronte di un grosso profitto, gli apparati sportivi internazionali sono lestissimi a offrire il loro spettacolo, pazienza se qualche biglia scompare dal grande labirinto del business sportivo. E pazienza anche se buona parte dei principali eventi europei e mondiali si disputeranno sempre di più nel mondo arabo.
Non ce lo chiediamo neanche più, la vicenda ormai appartiene al passato: dov’è Shuai Peng? La tennista cinese che denunciò in un post su Facebook di aver subito violenze sessuali da parte di uno dei più potenti politici del Paese, è da anni sparita nel nulla. Come reagirono le istituzioni sportive internazionali? Poco e male, a partire dal CIO, che non ha mai veramente fatto muro
contro la “custodia cautelare” della sfortunata ex n.1 di doppio, troppo attento a non creare fastidi ai burocrati dello sport asiatico. L’unico che aveva davvero osteggiato il Paese della muraglia più lunga del mondo fu stato il capo della WTA (Women’s Tennis Association), Steve Simon. Senza tentennamenti, Simon rimosse dal calendario ufficiale i tornei cinesi più importanti. Il capo del tennis femminile intraprese da solo questo braccio di ferro durissimo contro il Dragone, alla lunga insostenibile per i bilanci della Women Tennis Association e con i cinesi che senza muovere un dito la ebbero vinta. Il povero e coraggioso Simon alzò bandiera bianca, riaprendo alla WTA gli appuntamenti cinesi – coi relativi guadagni – e dichiarando che quella strategia non stava portando nulla in soccorso di Peng, se non le perdite economiche del tennis femminile. Una
realpolitik diventata giocoforza necessaria anche per chi aveva lottato come un leone, ma era solo come un cane. Prima i dollari, poi i diritti. Il business a qualunque costo.
Non a caso chi ha acquistato i diritti delle Finals Next Gen? Naturalmente l’Arabia Saudita, che con buone probabilità tra pochi anni si porterà a casa anche le ATP Finals oggi disputate a Torino.
Per restare al tennis, un caso per certi versi simile (sebbene in circostanze di tutt’altro genere e molto meno gravi del caso Peng), arriva dai campioni del mondo occidentale, gli americani. Gli ultimi US Open si sono disputati nella più feroce delle canicole, con tassi di umidità quasi insostenibili. Tra i giocatori che hanno denunciato il fatto c’è il russo Daniil Medvedev, stabilmente
presente tra i primi cinque giocatori del mondo, che a New York ha criticato senza mezzi termini l’organizzazione del torneo, colpevole di far giocare le partite nelle ore più calde e afose della giornata: “Qui deve morire qualcuno perché gli organizzatori ci ascoltino!”
Nella boxe, se un blogger sfida Mike Tyson, 58 anni, ci chiediamo attoniti come si possa anche solo pensare di mettere sul ring un ex pugile così vecchio. Invece sta per succedere, perché se ai due contendenti viene offerta una borsa da milioni di dollari, allora ok, si può boxare. Tra i pesi massimi (quelli veri, non le esibizioni appena citate) il sogno dei tifosi inglesi è il derby britannico tra Anthony Joshua e Tyson Fury, da disputare nella splendida cornice di Wembley. È stato però lo stesso campione dei massimi WBC a svegliare gli appassionati confermando che il match avrà luogo a Riyad. Perché non va bene il tempio del calcio inglese?
“Nessun problema, anzi sarebbe bellissimo, ma la borsa che mi offrono a Riyad vale molto di più di quello che guadagnerei restando in Inghilterra”. Laconico, cinico, semplice: vado dove vanno i soldi.
Stendiamo dunque un velo pietoso sul pugilato. Sul calcio, neanche quello.
Il tripode che governa i vari livelli del calcio professionistico si è comportato come segue:
1- il maggiore ente calcistico internazionale, la FIFA, assegna i Mondiali al Qatar, assoluto paladino dei diritti umani… e responsabile dei morti sul lavoro per la costruzione di nuovi stadi cattedrali nel
deserto (letteralmente);
2- l’UEFA prima si oppone con forza alla creazione della Superlega, stracciandosi le vesti per lo scempio di merito sportivo che sarebbe perpetrato da ricchi club attenti solo ai soldi, ma poi si rimette in testa il caschetto da lavoro per creare una sorta di Final Four da giocare d’estate negli Stati Uniti (con buona pace dei tifosi italiani), infarcendo ancora di più il calendario ufficiale;
3- la Lega Calcio italiana, non contenta di far disputare la Supercoppa nostrana in paesi
lontanissimi dai confini nazionali (ieri soprattutto gli Stati Uniti, oggi gli stati arabi, dall’Arabia Saudita ai diversi Emirati), estende la competizione anche alla seconda in Serie A e alla finalista della Coppa Italia per triplicare il prodotto offerto, pazienza se i tifosi si dovranno sobbarcare una trasferta complicatissima e così cara. Del resto, pecunia non olet.
Mentre gli arabi avanzano col vento in poppa, i cinesi mantengono la posizione: se un’altra sportiva scrivesse “troppo” e “male” sui social accusando qualcuno dei piani alti del governo, la sua fine sarà la stessa riservata a Peng Shuai. La vicenda si concluderebbe ancora con Wuhan, Zhengzhou e Pechino reintegrati nel calendario mondiale, perché altrimenti il circo si sgonfia, mentre di Peng e della sua “collega” non si saprà più nulla.
Non si vede come tutto questo possa cambiare, perché – onestamente – non finiremo mai di ambire alla banconota. Del resto, se è così anche sul fronte climatico mondiale (quale imprenditore potrà mai accettare di guadagnare di meno, quale passeggero rinuncerà all’aereo per spostarsi da uno Stato all’altro, chi di noi farà a meno delle bistecche di manzo da allevamento?), come facciamo ad arginare il problema ?Decrescita felice?
Risposta sognatrice: “Certo, la dobbiamo fare tutti…”.
Risposta realistica: “No, grazie”