“Fummo noi a perdere, non gli avversari a vincere, noi con la nostra mancanza d’intesa e di concordia”. A esprimere queste parole è uno dei commissari tecnici più vincenti della storia del calcio mondiale, uno che ha conquistato nel giro di quattro anni due titoli iridati e un oro olimpico.
Stiamo parlando di Vittorio Pozzo, un mito per lo sport italiano e globale, ma che prima di scalare le graduatorie di tutti i tempi, ha dovuto far i conti con una gavetta molto complicata. I suoi pensieri fanno riferimento all’Olimpiade di Stoccolma 1912, prima volta in cui il pallone di cui viene inserito nel programma a cinque cerchi e insieme a esso anche la Nazionale Italiana.
In realtà il clima che si respira nel Bel Paese non è certo dei migliori: gli azzurri hanno il proprio esordio ufficiale il 15 maggio 1910 all’Arena Civica di Milano contro la Francia imponendosi per 6-2, ma da quel momento la formazione tricolore non sa più vincere. Arrivano due pareggi e quattro sconfitte in sei sfide disputate con il cambiamento di ben tre commissioni tecniche composte da ex calciatori, arbitri, dirigenti e persino giornalisti.
E’ il caos più totale, la Federazione vorrebbe evitare una trasferta disastrosa in Svezia, ma la politica la impone. L’Italia sta provando a ottenere “un posto al sole” nel consesso mondiale e per farlo ha appena concluso una guerra vittoriosa per la conquista della Libia. Questi intenti coloniali spingono i politici a investire anche nello sport puntando a fare bella figura in una rassegna come l’Olimpiade, dove i rapporti di forza sul campo rispecchiano quanto accade anche da un punto di vista geo-politico.
Per sistemare le cose viene chiamato in fretta e furia Vittorio Pozzo, ritiratosi giusto l’anno precedente dall’attività agonistica con il Torino che aveva contribuito a fondare nel 1906 insieme a un gruppo di fuoriusciti dalla Juventus. Il piemontese non ha praticamente esperienza da allenatore quando gli viene assegnata la panchina dell’Italia in qualità di segretario federale con l’obbligo di organizzare la trasferta completamente da solo, abbandonato a sé stesso da quella F.I.G.C. che di fatto lo aveva relegato a questo compito.
Nonostante le grandi ambizioni, i fondi sono decisamente risicati tanto che il Comitato nazionale olimpico (CNO) impone che siano soltanto quattordici i giocatori a prendere parte alla spedizione olimpica con molti altri costretti a saltare l’appuntamento in quanto impegnati con la leva militare e non autorizzati dal Ministero della Guerra. La situazione è pressoché tragica come constatò qualche anno dopo lo stesso Pozzo: “Attorno a me c’era il vuoto, in tutto, meno che in fatto di aspirazioni e di ambizioni”. A proposito di ambizioni, “dopo un allegro banchetto” il 25 giugno si parte da Verona verso Stoccolma passando prima da Berlino, il tutto rigorosamente in treno e peraltro in seconda classe, con il vivo consiglio da parte del CNO di spostarsi in terza una volta passato il confine italiano e intascarsi così la differenza del biglietto.
In condizioni del genere è facile pensare che sia quasi impossibile puntare a una medaglia, eppure tutti in Italia sono del parere contrario, offuscati forse dalla possibilità di esordire in campo internazionale con il modesto Granducato di Finlandia. Ebbene sì, all’epoca il paese scandinavo non era ancora indipendente, ma piuttosto una regione autonoma del grande Impero Russo con lo zar che aveva concesso ai finnici di istituire un proprio comitato olimpico e partecipare così alla rassegna a “cinque cerchi”. Ovviamente con obblighi annessi riguardanti l’impossibilità di sfilare con la propria bandiera e di issare quella zarista nel caso dovessero mai arrivare successi durante la competizione.
Gli azzurri sono quindi a imporre il proprio gioco agli scandinavi per poi accedere al tabellone principale e giocarsi così una possibilità di salire sul podio olimpico. Il 29 giugno 1912, alle 11 del mattino, davanti a cinquecento spettatori le cose vanno però diversamente. Dopo soli due minuti Jarl Öhman trafigge la porta di Piero Campelli costringendo così i ragazzi di Pozzo a lanciarsi in una spregiudicata rimonta. Al decimo Franco Bontadini, alpino e laureando in medicina, pareggia e fa respirare per un po’ i compagni, soffocati dalla tenuta fisica degli avversari.
Nel momento peggiore arriva però il gol di Enrico Sardi che, approfittando di un’indecisione del portiere della Finlandia, porta in vantaggio l’Italia al venticinquesimo. Si tratta in realtà soltanto di un fuoco di paglia visto che al quarantesimo Eino Soinio rimette in equilibrio le sorti del match. A questo punto si prosegue stancamente, con gli azzurri che tengono botta grazie alla tecnica, ma non sfondano in quanto inferiori da un punto di vista fisico. Il momento decisivo arriva al centocinquesimo quando, dopo il pareggio nei primi novanta minuti, si passa ai supplementari. Bror Wiberg colpisce per la terza volta la rete protetta da Campelli e l’Italia va k.o.
“La nostra partita l’abbiamo persa unicamente per la grande stanchezza che ci invase dopo 20 minuti di gioco. Tutti fermi, senza energia, cose da far pietà! – ricorderà una disamina poco confortante del Guerin Sportivo -. La causa è da attribuirsi alla fatica del viaggio e all’enorme calore e, se volete, in fondo alla deficienza di energia e volontà di diversi”.
A quel punto all’Italia tocca la partecipazione al torneo di consolazione riservato alle squadre eliminate nel turno di qualificazione e ai successivi quarti di finale. Gli avversari sono i padroni di casa della Svezia che, senza opporre particolare resistenza, vengono sconfitti per 1-0 da Bontadini e compagni con quest’ultimo che al trentesimo realizza il gol decisivo. Si tratta della seconda vittoria della storia della Nazionale, una misera consolazione come dimostrato anche dall’assurda richiesta del capitano degli scandinavi Schöyen di disputare una rivincita.
Si arriva così alle semifinali del torneo cadetto con l’Italia opposta all’Austria, reduce dalla sconfitta a opera dei Paesi Bassi. Non c’è storia: il Das Team si impone con un secco 5-1 con il solo Felice Berardo in grado di realizzare la rete della bandiera. Per Pozzo l’esperienza di commissario tecnico si conclude qui, mentre per la cronaca il Granducato di Finlandia arriva addirittura a sfiorare il podio. Contro ogni pronostico i finnici sconfiggono ai quarti l’Impero Russo di cui fanno parte con uno storico 2-1 che permette ai primi di giocarsela contro la Gran Bretagna in semifinale dove vengono sconfitti per 4-0 prima di esser surclassati per 9-0 dai Paesi Bassi nella finale per il bronzo.
Poco male perché quelle vittorie contro Italia e Russia rimarranno nella storia della Finlandia, mentre per Pozzo si tratterà soltanto di un piccolo assaggio di quella che sarà la sua gloriosa carriera da allenatore fra successi con l’amato Torino e una lunga permanenza sulla panchina dell’Italia che si concluderà soltanto a metà del XX secolo quando ormai è diventato una figura leggendaria per tutti.