Ascolta la puntata del podcast “Azzurro Cenere”:
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“Cosa ci faceva Franco Selvaggi al Mondiale 1982 ?” Non chiedetelo a Roberto Pruzzo che, trattenendo la rabbia a stento, vi direbbe “Ne parliamo un’altra volta”. Al tempo stesso non chiedetelo al diretto interessato che quasi sicuramente aggirerebbe la domanda dicendovi “Ero l’unico che potesse star in camera con Tardelli visto che entrambe eravamo insonni”.
Per dare una risposta a questo mistero che popola la mente dei tifosi italiani ormai da quattro decenni è necessario far un salto nel profondo Sud, nello specifico in Basilicata. Una terra avara di fuoriclasse, ma capace di forgiare alcuni buoni giocatori come Simone Zaza e Domenico Berardi, unici a vestire la maglia azzurra insieme a Selvaggi, centravanti raffinato, meno “potente” rispetto a Pruzzo, ma fondamentale per gli equilibri di una squadra.
Dopo aver mosso i primi passi con la Gianni Rivera Matera, il lucano finisce alla Ternana dove conosce per la prima volta la Serie A esordendo il 30 dicembre 1972 contro la Fiorentina e segnando il primo gol da professionista contro la Juventus. Per un giocatore che ha fatto della propria unicità la caratteristica principale, il battesimo con la massima serie arriva proprio gli umbri che avranno modo di affrontare soltanto due “giri di valzer” nel “Paradiso del calcio italiano”.
Quella rete messa a segno ai bianconeri fa ingolosire la Roma di Dino Viola che se ne innamora e nell’estate 1973 lo porta nella Capitale per un’esperienza che ben presto si rivelerà un vero e proprio calvario. Cinque mesi di stop per uno strappo muscolare, due presenze all’attivo e un biglietto per Terni di sola andata emesso per direttissima.
L’Umbria non rappresenta però la “Terra Promessa” per Selvaggi che decide di emigrare a Taranto dove vive alcuni dei momenti più belli della carriera, ma soprattutto dove nasce la leggenda di “Spadino”, un soprannome nato dalla sua statura minuta del numero 9 rossoblù e da un piede numero 38. In Puglia Selvaggi si consacra, gioca cinque campionati di Serie B segnando ventidue gol, ma soprattutto venendo individuato dal mitico Gigi Riva come l’uomo giusto per guidare il Cagliari nel ritorno in Serie A.
E’ il 1979, il “Mundial” non appare così lontano, eppure c’è ancora tempo per convincere Enzo Bearzot a farsi convocare per la Spagna nonostante a Perugia esploda in quel periodo un certo Paolo Rossi che più volte si incrocerà con l’attaccante lucano. A conferma del fiuto di “Rombo di Tuono” vi sono i 12 gol realizzati nella prima stagione sull’Isola che lo pongono al quarto posto nella classifica marcatori alle spalle di Roberto Bettega, Alessandro Altobelli e Paolo Rossi, quasi si trattasse della gerarchia dell’attacco azzurro.
In un’epoca come la nostra le porte della Nazionale si aprirebbero a furor di popolo, ma sulla panchina dell’Italia c’è Enzo Bearzot, noto da tutti come “Il Vecio”. Il tecnico friulano è uno di quegli allenatori integerrimi, che una volta costruito il gruppo, non lo cambia nemmeno sotto tortura. Parte di quell’undici ha iniziato a costruirsi nel 1978 in Argentina con Bettega e Rossi al centro del progetto e al massimo l’inserimento di Bruno Giordano.
Una variabile impazzita si abbatte però sul gruppo azzurro e ha il nome di “Totonero”. Vengono coinvolti proprio Giordano e Rossi, quest’ultimo citato da Massimo Cruciani, il “fruttivendolo” romano che si era rovinato con le scommesse insieme al ristoratore Alvaro Trinca. Ciò gli costa due anni di squalifica, la quasi impossibilità di disputare il Mondiale e soprattutto un grosso grattacapo per Bearzot che deve iniziare a pensare a un eventuale sostituto.
Perché non testare Franco Selvaggi, un uomo capace di fare squadra e all’occorrenza destinato a creare spazi in area per attaccanti ben più dotati come il titolarissimo Bettega? Prima arriva l’Under 21 di Azeglio Vicini che lo prova in due match in qualità di fuoriquota, poi nel 1981 è il momento dell’esordio con i grandi il 19 aprile in uno scialbo 0-0 con la Germania Est andato in scena a Udine.
Un anno dalla Coppa del Mondo non c’è occasione migliore di testare il nuovo innesto in un’amichevole che lo vede partire da titolare e giocare novanta minuti senza però lasciare il segno. La situazione si ripete identica l’anno successivo in un pirotecnico 3-2 con la Bulgaria che vede l’Italia dominare sino alla metà del secondo tempo prima di spegnersi e lasciare spazio alla rimonta della squadra proveniente dall’Est Europa. In vista di Spagna 1982 c’è tempo ancora per una comparsata di Selvaggi che scende in campo in Italia-Grecia 1-1, una sfida che regala la matematica qualificazione ai Mondiali per gli azzurri, ma soprattutto l’unica presenza in un match ufficiale per il giocatore di Pomarico.
A quel punto tutti sono sicuri che Selvaggi non avrà spazio sull’aereo in volo per Vigo in quanto Rossi è in via di riabilitazione e pronto a tornare in Nazionale forte di una promessa di Bearzot, mentre Bettega, infortunatosi verso la fine del campionato, verrà probabilmente sostituito dal capocannoniere di quella stagione, Roberto Pruzzo.
Il bomber di Crocefieschi ha realizzato 15 gol, ma in molti sanno come il suo carattere e soprattutto la sua figura ingombrante non vadano a genio al “Vecio” il quale vuole metter al centro del progetto Rossi senza che nessuno possa chiederne la testa. Qualora ci fosse Pruzzo in squadra basterebbe una partita storta perché migliaia di italiani pretendano il cambio. Lo stesso varrebbe per Evaristo Beccalossi che, a differenza del collega giallorosso, non vedrà mai l’azzurro in vita sua.
A quel punto Selvaggi è l’uomo giusto al momento giusto: se Rossi fa flop nel match d’esordio con la Polonia, nessun coro si alzerebbe per chiedere l’ingresso in campo di “Spadino”, tanto meno se la medesima situazione si ripetesse nelle sfide con Perù e Camerun. Insomma, o Rossi, o nulla. D’altronde Bearzot è stato chiaro con Selvaggi: “Ho due coppie per l’attacco: Altobelli è l’alternativa a Graziani, tu sei l’alternativa a Paolo Rossi”. Anni dopo, nel suo libro di memorie, il Ct proverà a ritrattare, ma con quella malizia che contraddistingue gli uomini geniali: “Se l’ho detta, è divertente e se Selvaggi ha accettato la battuta, mi ha confermato sin da quel momento che ci avevo visto giusto a fidarmi della sua intelligenza e del suo spirito di gruppo”.
Rossi sbaglierà clamorosamente le prime tre partite del girone, ma grazie a tre pareggi (fra il quale il discusso 1-1 con il Camerun), ma l’Italia passerà il girone e da bruco il giocatore bianconero diventerà una splendida crisalide. Nella calda sera dell’11 luglio 1982 l’Italia diventa così campione del mondo per la terza volta senza che Selvaggi abbia nemmeno messo la testa in campo.
Ricordiamolo, non sono gli anni in cui Roberto Mancini concede pure al terzo portiere qualche scampolo di partita pur di far segnare il proprio nome nelle statistiche dell’Europeo 2021, qui le gerarchie sono rigide e guai a chi non le rispetta.
Quella sera a Madrid rappresenterà il punto più alto di Selvaggi che non verrà più considerato da Bearzot complice anche una sfortunata parentesi di due anni al Torino e una lunga peregrinazione in giro per l’Italia che lo vede vestire le maglie di Udinese e Inter prima di ritirarsi nel 1987 in Serie B con la Sambenedettese.
Nonostante siano passati più di quarant’anni la domanda rimane viva nella nostra mente: “Cosa ci faceva Franco Selvaggi ai Mondiali 1982 ?”. Ai posteri l’ardua sentenza.