Berrettini e Musetti hanno proprio bisogno del super-coach?
Quest’idea, dopo aver rimbalzato sommessamente sui social da qualche mese, sulla scia degli ultimi deludenti risultati di Matteo e Lorenzo, in parallelo col rilancio di Jannik Sinner – che invece il super-coach ce l’ha in Darren Cahill -, è stata ufficializzata da un osservatore attendibile e onesto come Paolo Bertolucci. Ma è davvero la soluzione del problema?
ALL’ITALIANA
Nel paese del subappalto e delle nomine suppletive e straordinarie, l’etichetta Super-qualcosa sembra figlia di una tendenza: della evidente necessità di sostituire il pilota e/o dal desiderio di sgravare la struttura ufficiale di responsabilità nel nome del solito salvatore della patria.
Che è padrone, persino dio, oggi, ma domani verrà sistematicamente contestato e dimenticato molto in fretta. Come ci insegna la politica. Così il capro espiatorio è unico e, via lui, è consentito voltare pagina più facilmente, in attesa del prossimo salvatore della patria, della vincita al SuperEnalotto, del miracolo di un giorno, dell’aiuto del famoso Stellone italico, insomma.
SUPER FACILE
Del resto, super è una parola-chiave già dai tempi degli antichi latini, con quel prefisso eloquente e indiscutibile che sta sopra, che va oltre, che supera, che conferisce valore superlativo fissando il concetto della qualità superiore, dell’eccellenza, della condizione straordinaria. Super è di più, è imbattibile, da Superman a Super Mario Bros. Figurarsi nello sport dove i limiti umani vengono spinti sempre al limite e, spesso, oltre.
E’ inevitabile che anche il tennis non sfugga a questo fascino, in ultimo coi SuperMasters 1000, cioè i tornei di Indian Wells e Miami, che sono stati appena raggiunti da Madrid e Roma in quanto a premi e partecipanti. Anche se, pensando alle racchette, la prima parola che viene in mente accanto a quel suffisso così chiaro e vincente è coach: perché il super-coach accende anche la fantasia, unisce passato e presente, suggerisce alchimie inedite o evidenti, promette esplosioni più fragorose del tritolo.
COPPIE CELEBRI
Persino Roger Federer, dopo tanti allenatori-amici, da Peter Carter a Peter Lundgren, da Severin Luthi a Paul Annacone a Ivan Ljubicic, ha sentito l’esigenza di un aiutino in più e s’è legato durante gli anni 2014-2015 a Stefan Edberg. Gli è servito veramente? Al di là del fascino di mettere insieme due campioni così belli e corretti, restiamo perplessi sui risultati. Secondo noi la guida ideale del Magnifico era Tony Roche, un ex pro dai comprovati risultati, che tuttavia gli insegnasse anche qualcosa di importante al servizio e alla volée, oltre che nella tattica, come ha fatto con i tanti clienti, da Hewitt a Lendl.
Novak Djokovic ha assoldato sia Andre Agassi che Boris Becker; col primo non ha legato forse soprattutto perché stava attraversando una delicatissima crisi che trascendeva il tennis, col secondo sostiene invece di aver legato come uomo, come motivatore, come campione che parla la stessa lingua del campione.
Ma tecnicamente Nole I di Serbia ha ottenuto molto di più da Goran Ivanisevic, grazie al quale ha fatto un decisivo salto di qualità al servizio.
Il connubio più vincente del tennis, finora, è stato quello fra Andy Murray e Ivan Lendl, con un evidente e decisivo contributo sia in termini di attitudine offensiva in generale sia in termini di miglioramenti specifici sul dritto. Mentre poi, come super coach, Ivan il terribile non ha funzionato con Sasha Zverev, con tanto di tirate d’orecchie al bambino d’oro tedesco: “Non è professionale”.
Soltanto i continui guai fisici hanno interrotto invece il perfetto sodalizio fra Michael Chang e Kei Nishikori, che si integravano alla perfezione. Equilibrio che s’è riproposto fra Lleyton Hewitt e Alex De Minaur, che tanto si somigliano come esseri umani e tennisti.
BERRETTINI & MUSETTI
All’alba dello scorso anno, Sinner non ha avuto problemi ad abbandonare un super-coach come Riccardo Piatti, che l’aveva adottato tredicenne. E ha affiancato al fido Simone Vagnozzi l’ex pro e allenatore australiano Cahill, che gli dà il fondamentale supporto tecno-tattico, seguendo peraltro lo stesso progetto che aveva tracciato il maestro di Como. È stato un ingrato? Il campione dev’essere così per perseguire i suoi obiettivi di grandezza? Il fine giustifica i mezzi? Che c’è di male in fondo nel cercare gli innesti giusti per la squadra ideale?
Le domande sorgono spontanee perché Berrettini e Musetti, in crisi psico-tecnica, sono legati da sempre a Vincenzo Santopadre e Simone Tartarini, un ex professionista (100 ATP nel 1999) e un maestro di club. E, secondo la tesi dominante, non vogliono staccare il cordone ombelicale dalla propria storia, dai sacrifici e dalla crescita comune con persone tanto valide.
Piuttosto che sacrificare la propria umanità sull’altare del famoso prefisso, preferiscono essere super criticati, super discussi, perfino super offesi sui social. Rimanendo super fedeli a se stessi. Avrebbero davvero bisogno di un apporto extra che risulti decisivo? Forse sì, forse cambiare fa bene sempre, forse nelle parole e negli atteggiamenti di Santopadre e Tartarini si avverte la difficoltà nel gestire il momento, che è più complicato e inedito. Anche per l’esposizione mediatica sempre maggiore di uno sport che per 40 anni non ha vinto più niente di importante e che dal 2018 sta vivendo un autentico Rinascimento.
A questo punto è probabile che la caccia al super coach dei nostri eroi sia cominciata. Attenti, però al super reflusso: la Super League è naufragata, le personalità davvero Super Partes sono sempre più introvabili, i Super Commissari sono talmente fuori moda che gli hanno aggiunto Straordinario.
Aggettivo che, come recita il dizionario, “esprime di per sé una qualità assoluta, non è graduabile, perciò non dovrebbe avere né il comparativo né il superlativo. Tuttavia il valore di qualità assoluta si è un po’ attenuato nell’uso, tanto che il comparativo viene talvolta usato ed è ammissibile”. Aiuto! Magari per risolvere i problemi di Berrettini e Musetti non c’è bisogno di un Super o uno Straordinario coach, ma dei Super e Straordinari Berrettini e Musetti. Quelli che si sono persi il 23 ottobre nella finale di Napoli.