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Guardare il mondo al contrario non è soltanto complicato, ma decisamente innaturale. Alessandra Fumagalli ha imparato a farlo la prima volta che si è calata da un budello gelato scoprendo cosa fosse lo skeleton. Uno sport a molti sconosciuto, ma che nel 1948 ha regalato all’Italia la prima medaglia d’oro alle Olimpiadi Invernali e che la 25enne di Bergamo ha imparato pian piano a conoscere sino alla partecipazioni ai Mondiali. L’atleta dell’Esercito non ha intenzione di fermarsi e punta dritto verso Milano-Cortina 2026.
Da dove nasce il nome “skeleton” ?
Lo skeleton è stato inventato a Sankt Moritz dagli inglesi. Siccome la forma della slitta ricordava un po’ quella di uno scheletro, da lì è nato il nome di questo sport.
Come definirebbe questo sport per far capire a chi non lo conosce?
Lo slittino a testa in giù. Siccome in Italia sono conosciuti maggiormente slittino e bob, utilizziamo questa definizione per fare capire a tutti.
Dopotutto ciò che vi divide dallo slittino sono la posizione e la spinta
Sì, anche se esistono molte differenze. Abbiamo slitte e modi di guidare completamente diversi, anche se agli occhi dei profani, si possono paragonare tranquillamente.
Come si sente quando vede davanti a sé quanto le aspetta?
Io mi sento bene, anche se bisognerebbe chiedere ai miei genitori. In prima persona non ci si accorge di quale velocità si raggiunge perché sei talmente focalizzato sulle linee che la percezione del rischio passa in secondo piano. Si sente magari di più la forza G in curva, ma è molto bello anche se vedi tutto bianco davanti a sé. Siamo praticamente a due centimetri dal ghiaccio e quindi bisogna provare a rimanere più lineari possibili.
Come vivono i suoi genitori le gare?
All’inizio avevano paura e non riuscivano a seguirmi. Ora si sono abituati e fanno il tifo per me. Chi invece non riesce a vederle ancora è mia nonna che è ancora un po’ troppo timorosa così come il resto dei miei parenti. Li capisco, anche se è una questione di abitudine visto che è uno sport estremamente sicuro.
Come hanno reagito nel momento in cui ha scelto di intraprendere la carriera nello skeleton?
L’idea è arrivata da Elena Scarpellini che, all’interno di un progetto di reclutamento per la Nazionale di bob e skeleton, ha deciso di propormi questa iniziativa. Penso e spero di esser stata una buona recluta essendo arrivata a buoni livelli. Quando l’ho detto ai miei genitori, la mamma sperava che scegliessi qualcos’altro, però l’ho tranquillizzata perché non c’è nulla di cui preoccuparsi.
Com’è stata la prima discesa?
Indimenticabile. Non si capisce molto di quanto accade attorno a te, ma è adrenalina pura. Vedi tutto bianco e, quando pensi di esser in un punto della pista, in realtà sei molto prima. Nonostante ciò la prima discesa è quella che ti spinge a proseguire perché è come un po’ in una lavatrice così come sulle montagne russe. In mezzo a questo marasma di emozioni, puoi capire effettivamente se ti piaccia o meno questo sport.
C’è qualche pista che le fa ancora paura?
Direi di no, ma innervosire ce ne sono ancora parecchie. Dove ci sono “gli appoggini”, una sorta di “rettilinei storti”, ho ancora qualche timore. In passato non avevo un bel rapporto con il “kreisel” di Königssee, anche se magari oggi, con più esperienza, riuscirei a gestirla meglio. Peccato che sia andata distrutta tre anni fa a causa di un’alluvione e siamo ancora in attesa della sua riapertura. Aver paura nello skeleton comunque non è una buona cosa, perché ti limita e non ti consente di scendere veloce, ma il nervosismo perché non escono le cose molto.
Quanto aiuta aver accanto un compagno che fa lo stesso sport?
Vivere con una persona che condivide con te gioie e delusioni e le possa comprendere appieno facendo lo stesso sport è sicuramente bello. Al tempo stesso quando ci sono quei momenti di tensione, bisogna dividere le cose: prendere la parte sportiva e spostarla rispetto a quella sentimentale. Stiamo lavorando su questi aspetti, sicuramente ci diamo una mano l’uno con l’altra, ma bisogna ragionare come se fossimo due persone diverse, l’Alessandra compagna di vita, l’Alessandra compagna di squadra.
Siccome trascorrete gran parte della stagione fianco a fianco con i compagni di squadra, com’è la vita in Nazionale?
La vita è “amore e coltelli”. Vivendo sei mesi l’anno in camera insieme, ci sono dei momenti in cui si ride e si scherza e sono veramente indimenticabili. Si litiga, ma comunque si riesce a riappacificarsi. Ci sono dei momenti in cui siamo uno contro l’altro, ma cerchiamo di coltivare un clima che ci consenta di arrivare uniti ai momenti clou.
Guardando al sogno olimpico, quali sono i passaggi per arrivarci?
Il sogno di arrivare a Cortina c’è, praticamente da quando ho iniziato visto che mi hanno reclutato in vista delle Olimpiadi. Ovviamente è il sogno nel cassetto di ogni atleta, motivo per cui l’obiettivo è quello. Per arrivarci la prossima stagione dovrò puntare a confermare anche in gara quanto riesco a realizzare in allenamento e, passo per passo, arrivare anche ai Mondiali. La stagione che conterà di più sarà sicuramente quella del 2025/2026 che ci consentirà di qualificarci ai Giochi e per questo lì bisognerà arrivare al 100% sia mentalmente che fisicamente.