Una medaglia di bronzo per l’Italia ai Giochi del Mediterraneo nel 2001, sei titoli ITF in singolare e sette in doppio ed un best ranking di 144 WTA che le ha permesso di disputare tutti i tornei del Grande Slam. Valentina Sassi si è presa il meglio, dallo sport e dalla vita. Il tennis il primo amore, diventare mamma la gioia più grande ma anche il match più duro: “era più facile giocare a tennis”, dice con tono ironico. Dopo aver fondato la sua accademia in Liguria ha deciso di intraprendere una nuova sfida trasferendosi negli States, precisamente in Florida, alla corte di Rick Macci, leggenda del coaching che ha forgiato i talenti delle sorelle Williams, Maria Sharapova, Jennifer Capriati ed Andy Roddick. Il 15 giugno è stata invitata a Todi, dove torneranno in scena i Campionati Assoluti Italiani, a ben quindici anni di distanza dall’ultima edizione. Un torneo che riporta alla mente attimi dolcissimi per Valentina, che nel 2004 è stata capace di conquistare il titolo e adesso si racconta fra ricordi del tennis dei primi anni 2000 e quel doppio con la Signora Federer…
Che effetto ti fa sapere che stanno per tornare gli Assoluti?
“È bellissimo che li rifacciano. Il titolo italiano c’è in tutti gli sport, anche nel calcio, ed era un bel po’ che mancava nel tennis, ci voleva! Personalmente ho un ricordo splendido di quel torneo e anche se quella settimana mancavano delle top è un titolo che mi rimarrà sempre e che mi rende orgogliosa”.
Fra i tanti ricordi, qual è il più prezioso della carriera?
Il mio primo Us Open. Quando sono scesa dall’aereo mi sono sentita soddisfatta e fiera. Certo, non ero lì per vincere il torneo, i campioni c’erano già, però per me è stato importante atterrare a New York. Mi ero fatta da sola passando attraverso i tornei peggiori, dalle gare a squadre ai Futures. Mettere insieme tanti punti per arrivare lì, peraltro con pochi aiuti economici, è stata dura. In quel momento si realizzò un sogno”.
L’America ha sempre avuto un posto speciale nel tuo cuore…
“La maggior parte dei tornei lì si disputa sul veloce, mi è sempre piaciuto giocarci, mi trovavo bene. Inoltre, il fatto di dover viaggiare ed allontanarmi così tanto mi faceva sentire più professionista, non so come mai, ma mi faceva percepire il tennis come un lavoro”.
Infatti adesso sei coach presso la Rick Macci Academy, in Florida. Ti sei staccata dall’Italia per la stessa ragione? Per sentirti “lanciata” nel mondo del lavoro?
“Le motivazioni in questo caso sono diverse. L’ho fatto in primis per le mie figlie (Asia e Sofia, ndr), volevo che imparassero l’inglese, e poi per il mio lavoro. Qui sicuramente è più remunerato che in Italia. Altro fattore importante è il clima, qui fa caldo anche in inverno e si lavora bene”.
Che rapporto hai con Rick?
“È una persona un po’ particolare, nel senso che non ci arrivi facilmente. Viene, lavora e torna a casa. È gentile e determinato a portare avanti la sua metodologia all’accademia. Ogni settimana facciamo delle riunioni fra allenatori per cercare di portare avanti le sue idee, come il diritto “new generation”.
Qual è la cosa più importante che ti ha insegnato?
“Uno degli aspetti importanti che sto imparando qui è la dedizione al lavoro, il rispetto di questo sport. A qualsiasi ora del giorno, qualunque giorno della settimana siamo tutti disponibili a lavorare per venire incontro ai ragazzi che inseguono questo sogno. Qui si lavora duro, si fa tanta quantità, diversamente dall’Italia”.
Ne hai anche una tua di Academy, in Liguria, come la gestisci a distanza?
“Attualmente la sta portando avanti la mia collaboratrice Beatrice. Quando sono partita per gli Stati Uniti mi sono assicurata di istruire bene i miei ragazzi su come organizzare e gestire i vari aspetti. Non è stata una partenza improvvisa quindi abbiamo avuto tempo per trovare un nostro metodo”.
Quanto è diverso il circuito attuale da quello che hai vissuto tu all’inizio degli anni 2000?
“Tanto, anche se per certi versi l’ho vissuto un cambio generazionale. A metà carriera ho dovuto modificare i miei colpi utilizzando maggiore spin, inoltre iniziai a notare che la componente fisica stava diventando sempre più importante. Prima il tennis era molto più tecnico, adesso invece si punta tutto sulla forza, vedo diritti pesantissimi e servizi sempre più solidi”.
So che hai avuto delle compagne di doppio decisamente interessanti, come Mirka Vavrinec, moglie di Roger Federer, come vi siete conosciute?
“Abbiamo giocato un campionato a squadre in Svizzera per un club di Zurigo; mi pare ci fosse anche Wawrinka. Eravamo piccolissimi, avevamo all’incirca 19-20 anni, ai tempi lei non era ancora fidanzata con Roger, si sono messi insieme ufficialmente alle Olimpiadi”.
Com’era lei?
“Veramente un bel tipo. Aveva un fisico pazzesco, era sempre molto fit: magra, tonica e muscolosa. Aveva una personalità molto decisa, sapeva quello che voleva. Era in gamba e giocava molto bene. Una ragazza seria, molto dedita al tennis. Una professionista”.
Una tosta, insomma. Che poi per stare con uno come Federer, devi esserlo per forza…
“Decisamente. Aveva una grande personalità, mi ci trovavo bene con lei. Qualche anno dopo l’ho anche incontrata al torneo di Dubai, ci siamo sfidate alla fine della mia carriera. È stato come un cerchio che si è chiuso”.
A proposito di grandi personalità, hai giocato anche con John McEnroe
“Un anno agli Internazionali, quando giocava il torneo dei Seniors, cercava uno sparring dell’ultimo minuto. Era ora di pranzo e faceva caldo, nessuno era disponibile, quindi Palmieri mi chiese se potessi dargli una mano. Avevo appena perso da Barbara Schett ma non vedevo l’ora di scendere di nuovo in campo per scambiare con lui. Ci siamo riscaldati sul Pietrangeli e alla fine si è trasformato tutto in un’esibizione, scaturita da una mia palla corta. Da quel momento mi ha presa di mira e me ne ha fatte vedere di ogni. Un momento indimenticabile”.
Nel 2008 hai disputato la tua ultima stagione da professionista, com’è cambiata la vita dopo il Tour?
“All’inizio non è stato facile, quando si smette di viaggiare ci si ritrova in una situazione completamente diversa, fermi. Sognavo di diventare mamma e nel 2009 ho avuto la mia prima figlia ma sentivo di non volermi staccare dal tennis quindi ho cominciato ad allenare bambini”.
Le tue figlie giocano entrambe a tennis. Com’è il ruolo di mamma-allenatrice?
“Durante la crescita mi sono accorta che la prima ha iniziato a non voler più imparare da me e mi sono fatta da parte. Credo che si sarebbe rovinato il rapporto se le avessi fatto sia da madre che da coach, quindi adesso lascio che venga seguita da altri”.
Che ruolo hanno avuto invece i tuoi genitori?
“Venivano a vedermi poco perché lavoravano ma ho sempre avuto supporto da parte loro, mai pressioni. Non mi hanno mai fatto pesare nulla, neanche una sconfitta. Sono stata fortunata”.
Adesso abbiamo delle giocatrici che provano a rimettersi in gioco dopo la gravidanza, come Serena Williams, Kim Clijsters, Victoria Azarenka… Cosa ne pensi? Se potessi tornare indietro proveresti anche tu a rientrare?
“Le ammiro molto. Avere un figlio non è di certo una malattia, dopo aver avuto la mia prima bambina stavo benissimo, avrei potuto decidere di tornare, ci vuole poco a riprendersi atleticamente, ma personalmente desideravo una vita serena dopo il ritiro, non me la sentivo di tornare a viaggiare così tanto”.
È più difficile fare la tennista o la mamma?”
“La mamma, te lo assicuro!”.