Kim, le piace l’etichetta di “mamma di tutte le tenniste”?
“Sì, nel senso che ho lasciato perché non mi divertiva più la vita della tennista professionista, viaggiare, essere un prodotto, devi fare questo, devi fare quello, e poi avevo un ragazzo, è rimasto sempre quello, l’ho sposato, abbiamo fatto tre bambini, e ho avuto bisogno di una vita normale, per un po’, lui giocava a basket, mi faceva piacere aiutarlo nella sua attività, e mai avrei pensato che sarei tornata al tennis. E sono felice per le tante tenniste che anche mentre sono incinte già pensano a quando torneranno in campo, spero solo che si godano questi momenti unici di donne e di madri, e non affrettino troppo i tempi”.
Come mai poi decise di tornare a giocare a tennis?
“Mentre ero via, papà morì, e io ho avuto un invito per giocare un doppio misto a Wimbledon sotto il nuovo tetto del Centre Court, Tim (Henman) e me contro Steffi (Graf) ed Andre (Agassi), ed è stato di nuovo molto divertente, eccitante e stimolante vedere se potevo rigiocare al mio livello, anche con tutte le emozioni legate a papà, che era convinto he un giorno sarei tornata al tennis. E così, come la cosa più naturale del mondo, ho ripreso ad allenarmi sul serio”.
Papà è stato un calciatore famoso della nazionale, ma non è stato un padre-padrone come tanti, nel tennis
“Papà ha avuto una grande importanza in tutte le mie scelte: quando sono diventata una tennista e poi quando sono tornata una tennista. Ne parlavamo, a volte quando stava male, ma gli dicevo: “Mi spiace, ma non ho la sensazione giusta”. E per me le sensazioni sono sempre state decisive. Non voglio essere spinta voglio essere sicura che voglio davvero una cosa per dare il meglio. Anche questo me l’ha insegnato papà: ricordo quand’ero bambina ed avevo subito grandi risultati, appena vincevo un torneo, gli chiedevo di farne un altro, lui invece i diceva: “Kim, prendi le racchette, vai in garage, e lasciale lì per 3-4 giorni, pensa a divertirti a fare altre cose”. Ora capisco perché, ci sono tante giocatrici che sono spinte continuamente dai genitori: “Svegliati presto, vai all’allenamento, fai di più, spingi
di più, gioca di più”. E quel “di più” alla fine diventa troppo, e così tanti si fermano, prima o poi. Perché non lo decidono davvero loro. E’ impossibile per tutti non staccare la spina, se vuoi avere una normale carriera. Vale anche quando giochi troppi tornei di fila, e non riesci a staccarti, poi ne paghi le conseguenze, spesso con un infortunio, che è il grido del tuo fisico. E impari che cosa devi fare per stare al meglio, che cosa ti fa star meglio emotivamente fisicamente. E questo è stato molto importante anche nella mia seconda carriera, mi ha aiutato tanto”.
Ma quanto duro è il tennis se gli ex campioni non spingono mai i loro figli sulla stessa strada?
“Jada ha 9 anni e gioca a basket – sì, quella che venne in campo quando vinsi gli Us Open al rientro alle gare, quella della foto che fece il giro del mondo – , è molto alta, 1.52, ha già 38 di scarpe, Jack ha tre anni, sette mesi Blake. Qualcuno mi ha chiesto se volevo che Jada giocasse a tennis e la mia prima reazione è stata. “No”. Prima di tutto perché la conosco e so che non ha la passione per il tennis, per il basket ce l’ha, ama lo sport di squadra non quello individuale, adora la sfida con gli altrui, tutti insieme, il contatto fisico anche coi ragazzi, gioca anche coi maschi under 12, ma il tennis è diverso. E poi, quando veniva nella mia Academy, a Bree, giocava un paio d’ore a settimane, e qualcuno le disse subito: “Vuoi diventare brava come mamma?”. La gente fa sempre questa connessione fra parenti.… E io ho pensato che ero io la prima che non lo volevo per lei, o almeno desideravo e desidero che i miei figli si divertissero e che amassero davvero il tennis, come era per me a 5-6 anni, da subito, come i grandi amori. Nessuno deve fare qualcosa per far contento qualcun altro. Mn che meno nello sport”.
Henin, Capriati, le Wiliams, Davenport: lo ammetta, ai suoi tempi il tennis donne esprimeva molte più personalità e qualità.
“E’ vero, ma nello sport si va a cicli, ora quello che sta succedendo nell’ATP Tour è incredibilmente eccitante, anch’io lo adoro. Però vedrete che il tennis donne avrà ancora i suoi gran momenti”.
Lei aveva questa felicità di esserci, che cominciava dal sorriso e continuava con l’aggressività in campo. Un paese così lontano dal suo Belgio l’ha adottata…
“E’ stato davvero fantastico, mi sento bene nella mia piccola Bree come nell’immensa Australia. Perché io adoro la gente, parlare e stare con la gente, e in Australia è così facile avere contatti così aperti. E questo mi ha sempre dato tanta energia”.
La differenza caratteriale, fisica, tecnica con la rivale di casa Belgio, Justine Henin, è stata eclatante. Come sono oggi i vostri rapporti?
“Molto buoni, abbiamo tante cose in comune, per tanti anni abbiamo diviso anche stessa stanza, anche se viviamo lontano, quando ci vediamo, parliamo molto. Abbiamo tanto da ricordare, e siamo tutte e due mamme”.
Qual è stata la più grande lezione che ha ricevuto dal tennis?
“Mi ha dato un carattere, mi ha insegnato rispetto, disciplina, lealtà, tutti valori molto importanti”.
Il tennis cambia: c’è anche il coach in campo.
“E’ una regola che contrasta il primo scopo del tennis: cercare le soluzioni, se ce la fai, vinci, altrimenti, perdi. Io ero nel Consiglio direttivo e mi opposi inutilmente a questo cambiamento. Ma questa è la mentalità di questa generazione: se col coach me la cavo, meglio avercelo e risolvermi i problemi. Io però, coi miei ragazzi mi costringo a farli sbagliare da soli. Certo, mi viene spontaneo evitarglielo, ma dopo un po’ smetto. E così Jade che dimentica sempre qualcosa a casa, ha il diario pieno di note. Uno dei problemi del tennis è proprio questo: è facile, ci sono troppi soldi. E così i giovani non si sforzano più di tanto, seguono la strada comune, nel gioco, nelle abitudini. E’ un problema di mentalità di questa gioventù ed è un problema della gente che hai attorno, se non è davvero brava e cosciente ed onesta sin dagli inizi, ma anche dopo, sempre, la vita dello sport pro diventa molto più dura”.
Qual è stato il suo avversario più forte?
“Serena, sicuyro, e penso che rivincerà quando tornerà. Ma il mix con lei, e le altre tante che sono rientrate nel tennis, come Azarenka e Sharapova, ed le altre generazioni è davvero piacevole. O no? Se c’è la passione a muoverle tutto bello e possibile, come è stato per me”.
Vincenzo Martucci