Le Us Series, i tornei sul cemento nordamericano che preludono agli us Open al via il 28 agosto a New York, hanno dato indicazioni significative. Soprattutto, hanno ribadito la credibilità di Alexander Sascha, quale migliore più costante giovane a livello più alto, già superiore alla dimensione di star della NextGen, gli under 21 che si daranno battaglia il 7-11 novembre al PalaFiera di Milano, ma ancora sotto esame negli Slam, e quindi sulla distanza dei cinque set e sulle due settimane di gara; hanno confermato a Roger Federer che anche la sua seconda, miracolosa, giovinezza, ha bisogno delle premure indispensabili alla schiena usurata di un 36enne con diciotto stagioni di professionismo, riaprendo nuovi dubbi sulla sua continuità atletica in un torneo fisicamente durissimo come quello di Flushing Meadows; hanno rilanciato soprattutto un personaggio, l’unico peraltro degli anni ’90, il ventiseienne Grigor Dimitrov, che, nelle difficili condizioni di Cincinnati, è stato finalmente capace di andare oltre il proprio narcisismo e di sacrificarsi in difesa, così da aggiudicarsi, senza perdere un set, il primo torneo Masters 1000, a spese della solita cicala Nick Kyrgios.
La schiena di Federer rimarrà un punto interrogativo ancora incutesti giorni di vigilia degli Us Open, così come preoccuperanno le anche di Andy Murray. Che proprio non vuole operarsi un’altra volta, e tenta di cavarsela, senza tornei da Wimbledon, puntando tutto su esperienza, qualità e un bel po’ di fortuna al sorteggio. Al di là del ritorno al numero 1 del mondo, premio alla carriera ad uno spirito straordinario, da agonista ideale che semplicemente si oppone agli sgambetti del destino e agli infortuni, molti sono sempre i dubbi attorno a Rafa Nadal, in generale, sul cemento nordamericano, e ancora di più, dopo lo scivolone contro Kyrgios a Cincinnati. Ma, con Djokovic e Wawrinka fuorigioco, il formidabile spagnolo si giocherà le sue chances nella lunga volata che porta all’obiettivo comune con Federer: chiudere l’anno al primo posto della classifica mondiale. Un risultato impensabile soltanto un anno fa, dopo l’ennesimo stop, col polso sinistro disastrato.
Può, ragionevolmente, il nuovo Dimitrov ritagliarsi il ruolo di outsider nell’ultimo Slam della stagione, dopo la finale di Melbourne vinta da Federer su Nadal, quella di Parigi che ha celebrato addirittura il decimo turino di Rafa e quella di Wimbledon che ha portato all’ottavo titolo-record di Roger? Con Nishikori, Cilic e Del Potro in panne, Berdych, Tsonga, Monfils, Thiem e Raonic inconcludenti e Sascha Zverv che appare ancora un po’ acerbo, l’unico altro nome più convincente, fra i secondi, è quello del bombardiere John Isner. Dal tennis, però, ben più povero di quello di “Grisha”, che sembra finalmente libero dalla pesante e spersonalizzante etichetta di “Baby Fed”, per via di una gestualità prossima a Federer il Magnifico, senza però possedere la concretezza e la continuità ad alto livello, contro i più forti avversari, del fenomeno svizzero. A Cincinnati, però, dopo una girandola di allenatori e di delusioni, il bulgaro, ricaricato dalle vacanze a Capri con l’ultima, avvenente fiamma, la cantante Nicole Scherzinger, è sembrato davvero un altro, maturo, capace di esaltarsi in modo davvero egregio nella transizione difesa-attacco, molto ben allenato, calmo, determinato. E così, col nuovo ingresso nei “top ten”, somiglia molto al Cilic che, nel 2014, rompeva l’egemonia dei Fab Four negli Slam, imitando il solo Stan Wawrinka, e conquistava a sorpresa gli Us Open.
Vincenzo Martucci