Dispettose o lunatiche? Oppure di livello medio-alto troppo alto? O troppo sollecitate da un gioco sempre più fisico? Il tennis donne fa impazzire analisti e scommettitori, figurarsi tecnici ed addetti ai lavori, per non parlare dei parenti stretti e delle stesse protagoniste. Che sono condannate, da un giorno all’altro, in un valzer infinito di sconfitte e vittorie, dai risultati ugualmente sconcertanti. Non c’è scia di successi, non c’è forma smagliante, non c’è stato di grazia, non c’è superficie o fase stagionale che diventi legge e dia sicurezza.
Così, archiviato l’ultimo torneo dello Slam, gli Us Open, le donne girano pagina e si trasferiscono in Asia, partendo da Tokyo. Dove brillano la protagonista di quest’anno, Garbine Muguruza, che è uscita perentoriamente dalla crisi di Parigi ed è balzata al comando della classifica, grazie ai trionfi a Wimbledon e Cincinnati e ai quarti agli Us Open, e la protagonista dell’anno scorso, Angelique Kerber, che era salita al numero 1 del mondo mentre ora è scivolata al 14. La potente spagnola, esentata dal primo turno, s’è sbarazzata di Puig e Garcia, la tedesca, in parallelo, s’è vendicata dello sgambetto di Osaka a New York, e ha superato Kasatkina e la numero 2 Wta, Pliskova. Dopo di che, in semifinale, la picchiatrice di sangue venezuelano s’è trovata di fronte la regina dei su e giù, Wozniacki (che aveva battuto 8 volte a 5, le ultime 2 consecutive) e la mancina pigra ha fronteggiato Pavlyuchenkova dai mille alti e bassi (che avevo superato tre volte su tre nei precedenti). Ebbene, da favorite, tutt’e due sono andate a gambe all’aria. La Muguruza s’è fatta clamorosamente sorprendere dalle accelerazioni del super difensore danese di ceppo polacco, ed ha subito un’inquietante lezione per 6-2 6-0 e, nel braccio di ferro con la potente russa, la Kerber ha dissipato anche il vantaggio di 3-0 al terzo set, dopo aver rimontato da 0-6 2-5.
Che cos’è successo? Semplicemente, sia Garbine che Angelique non hanno retto alla pressione, perché tutt’e due, al di là delle qualità tecno-fisiche, non amano lavorare sui colpi, sono interpreti di un tennis a una sola dimensione e non hanno un cuor di leonessa. Soprattutto, non sono le protagoniste di personalità e cattiveria agonistica di cui il movimento ha bisogno, a dispetto dei 23 anni di Muguruza e del ricco mercato tedesco che accompagna la Kerber. Come spirito, ci piacciono molto di più le avversarie, “Sunshine” Wozniacki, alla settima finale stagionale, che, col confortante 6/7 sulle palle-break contro la numero 1 del mondo, punta al tris a Tokyo dopo i successi 2010 e 2016, che ha già giocato finale locale nel 2015 e Pavlyuchenkova che punta al terzo titolo 2017 (dopo Rabat e Monterrey d’inizio stagione), forte dei 57 vincenti contro 43 gratuiti, e dei 7 break. I precedenti di 5.1 danno favorita la bella “Caro” che però, le sue finali le ha perse tutte, quest’anno, andando a ritroso, nella campagna sul cemento nordamericano, a Toronto contro Svitolina, sulla terra rossa europea, a Baastad con Siniakova, sull’erba, a Estbourne con Karolina Pliskova, sul cemento nordamericano d’inizio stagione, a Miami con Konta, sul cemento arabo a Dubai con Svitolina e a Doha con Karolina Pliskova all’alba del 2017. Il suo sconcertante tabù psicologico resiste proprio da dodici mesi, quando vinceva per ultimo il torneo di Hong Kong sulla scia proprio di Tokyo.
Perciò, dire di conoscere il tennis donne equivale a sostenere che non si conosce affatto, in realtà, e quindi si può serenamente affermare che la finale Wozniacki-Pavlychenkova è senza pronostico. Come sempre.
VINCENZO MARTUCCI