C’è il tennis dei 4 tornei del Grande Slam con un gettone di presenza di 75 mila euro già nel primo turno del tabellone principale di singolare che sale fino ai 2.760.372 per il campione. C’è il tennis della Laver Cup a inviti di questa settimana a Vancouver con un ingaggio individuale quotato per classifica più 250mila euro a testa a ciascun componente della squadra vincitrice fra Usa ed Europa. E c’è il tennis del numero 1 indiano nella classifica ATP, il 159 del mondo, Sumit Nagal, 26enne di Jhajjar, che ha investito i 700mila dollari di premi guadagnati dal 2015 per finanziarsi la carriera pro. Ma ha appena rivelato che con 900 dollari sul conto in banca non vive poi benissimo.
SPONSOR
“Attualmente ricevo aiuto dal signor Prashant Sutar attraverso la MAHA Tennis Foundation e ho uno stipendio mensile dalla IOCL (la compagnia petrolifera), ma il finanziamento necessario per entrare nella top-100 è di circa un crore (890mila euro)”, denuncia Nagal che quest’anno in 24 tornei ha guadagnato circa 60mila dollari, un terzo solo a New York dov’ha perso al primo turno delle qualificazioni. Perché il suo abituale palcoscenico è il circuito Challenger. Dove, a fine aprile, al Garden Roma, partendo dalle qualificazioni, ha vinto il titolo infilando i nostri Maestrelli e Tabacco e in finale l’olandese De Long. E a luglio s’è imposto a Tampere.
“Sto investendo tutto ciò che incasso. I costi annuali quando viaggio in camper sono intorno agli 800mila euro, ma oltre al coach non posso portarmi dietro anche il fisioterapista. Mi manca un sostegno valido, pur essendo da un po’ il numero 1 del tennis indiano, l’unico a qualificarsi per gli Slam, l’unico a vincere una partita alle Olimpiadi (Tokyo) negli ultimi anni. Ma il governo non ha aggiunto il mio nome ai Top. Anzi, quando la classifica è crollata dopo l’infortunio e l’operazione all’anca di due anni fa, e poi ho preso due volte il Covid, nessuno voleva aiutarmi, nessuno credeva davvero che potessi tornare. E’ deludente perché sento che qualunque cosa faccio non è abbastanza. In India è davvero difficile trovare sostegno finanziario: sinceramente non so più cosa fare, sono arrivato al punto di rinunciare a cercare aiuto nel mio paese”.
WIMBLEDON
Selezionato a 10 anni per l’accademia di Mahesh Bhupathi, nel 2010, quando ne aveva appena 13 e il programma di Bangalore si è chiuso, si è trasferito a Toronto per allenarsi con coach Bobby Mahal. Quindi nel 2015, insieme al vietnamita Lý Hoàng Nam, s’è aggiudicato il doppio a Wimbledon juniores, nel 2016 ha esordito in Davis ma è stato cacciato dalla nazionale perché aveva prosciugato il minibar della stanza d’albergo, nel 2017 ha conquistato il primo titolo Challenger a Bengalore. E, pur fra mille problemi logistici, migrando di qua e di là, ha continuato a progredire fino ai problemi fisici del 2021: “La riabilitazione dell’operazione all’anca è durata sei mesi, per tornare a giocare ce ne sono voluti altrettanti. Ci ho messo un anno e mezzo, solo per sentirmi di nuovo bene, diciamo a metà dell’anno scorso, anche se poi ho perso partite che avrei dovuto vincere, anche avanti un set e un break, o con match point. Morale: negli ultimi due anni non ho guadagnato nulla, sono già felice di essere in pari e di non dover lasciare ancora l’Accademy ed allenarmi da solo”. Come gli è successo nei primi 3 mesi dell’anno, quando ha dovuto abbandonare la Nansel Tennis Academy a Peine, in Germania, ed ha trovato aiuto solo in due amici, gli ex pro Somdev Devvarman e Christopher Marquis. “Ci siamo seduti a un tavolo, io, coach e fisio, e mi hanno suggerito di fare economia e poi di ritrovarci ad aprile all’Accademia quand’avessi trovato i soldi. E così ho fatto”.
PROTESTA
Il secondo miglior tennista indiano nell’ATP, il coetaneo Mukund Sasikumar, è lontanissimo da Nagal, appena al numero 407. Infatti Summit si rammarica del fatto che ai tennisti indiani non manchi solo il sostegno finanziario: “Se avessimo il sistema ci sarebbero anche i finanziamenti. Abbiamo un potenziale come la Cina, ma alle Olimpiadi noi vinciamo solo 5-6 medaglie mentre i cinesi a Tokyo ne hanno conquistate 38 d’oro. Eppure siamo 1,4 miliardi, possiamo eguagliarli in talento ma non arriviamo ad alti livelli perché ci manca la guida. Io però sto migliorando. Sento di avere il gioco. Se il fisico è in forma e sto giocando tornei, sento di essere pronto per il grande salto”.
Onore all’altro tennis, quello dei peones che faticano ad andare in pari, e hanno solo 900 dollari in banca.
*pubblicato su supertennis.tv