Ci sono carriere e carriere. Nel golf sembra che ogni carriera sia possibile, come ogni impresa, ogni esplosione, ogni caduta, ogni risalita, e a tutte le età. Perché, evidentemente tanto è alto il livello e tanta la casualità del gioco stesso, l’imponderabilità delle diverse condizioni esterne e del campo, oltre che psicologiche dei protagonisti.
Justin Thomas non arriva per caso, corona una corsa importante di almeno tre stagioni, ma arriva comunque presto confermando le promesse, da finalista all’Us junior 2010 e semifinalista al 2012 Us Amateur. In quest’unica stagione, il 24enne di Louisville (Kentucky) ha ottenuto tutto, meritandosi il premio di miglior giocatore Pga dell’anno (il Jack Nicklaus Award, il supercampione cui a 7 anni strappò un autografo) si è aggiudicato un Major (il PGA Championships, davanti al nostro fantastico Chicco Molinari), altri cinque titoli PGA, e i playoff FedEx, mettendosi in tasca anche i 10 milioni di dollari della ricca FedEx Cup – più giovane di sempre -, grazie al secondo posto dell’ultima prova del circuito ad Atlanta, dove ha chiuso col birdie due delle ultime tre buche.
Soffiando all’amico di sempre, Jordan Spieth, anche il primo posto nella money list. Miracoli del sogno americano: con una sola gara, Thomas ha guadagnato 10.945.000 dollari (10 milioni di premio finale FedEx più 945.000 di seconda moneta del torneo) ed è salito a 9.921.560 dollari di premi stagionali, mettendosi alle spalle Spieth (9.433.033), Dustin Johnson (8.732.193), Matsuyama (8.380.570) e Rahm (6.123.248). Mentre è terzo nel world ranking dominata ai primi tre posti da tre yankees, Johnson, Spieth e lui, come non accadeva dal 2010, con Tiger Woods, Phil Mickelson e Steve Stricker. Per cui il primo posto è sicuramente l’obiettivo di Thomas del 2018, anche se non lo confesserà mai: “Gli obiettivi li tengo per me e per il mio team, e li ricordo costantemente durante l’anno a me e a loro”. Anche se quelli del 2017 sono balzati alla ribalta, come riportiamo nel foto qui in basso, fra le perle del 2017, fra cui spiccano anche il 59 alle Hawaii – record stagionale Pga – , il terzo giro in 63 all’US Open (con l’eagle alla 18).
Potente nel drive e insieme sensibile coi ferri, esattamente un anno fa, Thomas contava appena un successo sul Tour in 64 partenze, era il numero 35 del mondo ed aveva come etichetta migliore quella di “amico di Jordan Spieth” (che è tre mesi più giovane di Justin e fra le 11 vittorie sul Tour ne conta già 4 Majors). “Cominciavo ad essere impaziente anche perché il mio amico Spieth andava molto in fretta. Ma papà ha fatto un grande lavoro ricordandomi che avevo già fatto tante cose grandi e che avrei continuato a farne se avessi continuato a lavorare duro e a fare le cose giuste”. Papà che, dal 1990, è capo della quotata Harmony Landing Country Club nel Kentucky. E lo segue, e lo consiglia, e lo assiste. “Justin è molto fiero, è molto emotivo ed è molto aggressivo. Se sei fatto così e le cose non funzionano, possono andare in fretta in un’altra direzione. Ma, a 24 anni, ha dimostrato grande maturità”. Anche se nemmeno lui poteva ipotizzare una simile esplosione, pur avendo cresciuto il figlio a pane e golf sin dalla tenerissima età, pur avendo giocato con lui interminabili sfide “a un dollaro a buca”, appena mamma Jani badava al pro shop e o lasciava libero nel tardo pomeriggio. “Il suo avviso più importante? Soltanto divertiti, qualsiasi cosa succeda, divertiti. Lui e mamma mi hanno sempre trattato uguale, sia che facessi 66 o 76”, ricorda Justin. Che, dal 1960, è appena il primo ad aggiudicarsi cinque tornei e un Major in una stagione prima ancora di compiere 25 anni. “Ho passato un bel po’ di tempo con Tiger (Woods) e Jordan (Spieth), le due persone alle quali sono più vicino che hanno fatto qualcosa di vicino a quello che faccio io e hanno vinto anche molto di più”.
Inutile dire dov’è scappato Justin Thomas subito dopo l’ultimo trionfo e i soldoni della FedEx: a casa, “a ricaricare le pile”. Da nonno Paul anche lui storico head professional, a Zanesville (Ohio) Country Club, ex pro, con stupendi ricordi di un giro all’Us Open insieme ad Arnold Palmer. Quindi, almeno questa storia di golf è figlia delle radici del golf: alla terza generazione, ha generato un campione.
Vincenzo Martucci