Impagabile Raikkonen. Tornato alla vittoria dopo cinque anni di digiuno, si impose in Australia nel 2013 con una Lotus che stava quasi esalando gli ultimi respiri, il finlandese ha coronato l’inaspettato successo ad Austin con una frase degna del suo grande repertorio di ovvietà: «E’ meglio vincere che arrivare secondo». Ha un grande senso dell’umorismo e ci prende tutti in giro, oppure è un filosofo pragmatico? Propendiamo per la prima ipotesi. Anche perché poi ha aggiunto: «Credo che i miei figli si siano addormentati a metà Gran Premio».
E dire che lui ha gareggiato da “operaio” solo nell’eccitante finale quando è riuscito a centellinare l’uso delle gomme, il consumo della benzina, i freni e le prestazioni in generale della sua Ferrari, contendendo bravamente gli attacchi furiosi di due cagnacci del calibro di Verstappen e Hamilton. Kimi comunque ha chiuso il suo discorso con una frase seria: «La gente non sa quanto io ami la Ferrari e l’Italia. Ho vinto il mio unico Mondiale con questi colori. Sono però anche felice di andare alla Sauber-Alfa Romeo nella prossima stagione. Fra l’altro la sede della squadra svizzera, a Hinwil, è a 15 minuti da casa mia».
Questo pilota che parte come un razzo, brucia il tempo alla prima curva ad Hamilton e riporta il Cavallino sul gradino più alto del podio, in una gara importante e prestigiosa come quella americana, rimandando a domenica prossima in Messico la conquista del quinto titolo del campione inglese – il Mondiale non può più sfuggire a Lewis, gli basterà un settimo posto da ottenere in una delle tre gare ancora da disputare – , nelle ultime cinque stagioni alla Ferrari non è stato di grandissimo aiuto per la squadra e anche per Vettel.
Quando gli è stato richiesto ha eseguito sempre il suo compitino con diligenza, ma con risultati discontinui, più interessato ai fatti suoi che non ad un lavoro vero di squadra. Peccato perché con un po’ più di impegno la storia avrebbe potuto essere diversa. Un risultato però lo ha ottenuto: a 39 anni compiuti è riuscito a firmare un contratto sino al 2020 compreso che in ogni caso gli permetterà di incassare un bel pacco di milioni e magari di prendersi ancora qualche soddisfazione personale.
Nella domenica in cui la Ferrari è tornata a conquistare il primo posto, Sebastian Vettel ha commesso un altro errore, l’ennesimo, quest’anno. Il più grave era stato quello di Hockenheim quando era uscito di pista negli ultimi giri mentre si trovava la comando del GP di Germania. Una vittoria buttata al vento che ha segnato la svolta negativa della stagione per il pilota tedesco, nella sfida per il titolo con Hamilton. Viene il sospetto che il quattro volte campione del mondo, ascoltando anche le sue parole pronunciate dopo la corsa, sia stato colpito da una sindrome particolare: pensa di essere vittima di continue ingiustizie o comunque di un trattamento troppo severo da parte dei giudici sportivi. Anche nell’ultimo weekend ha commesso due sbagli. In prova venerdì sotto una pioggia battente, mentre era esposta la bandiera rossa, non ha rallentato abbastanza il suo ritmo, ma onestamente non c’erano situazioni di pericolo, si è beccato una penalizzazione con arretramento di tre posizioni sulla griglia di partenza. Una punizione che, come si è visto, ha condizionato tutta la sua corsa. Per recuperare si è affannato a superare chi lo precedeva ed ha finito per scontrarsi con Ricciardo. «Non credo – ha detto – che fosse colpa mia». Per fortuna i commissari hanno trattato l’episodio come “incidente di gara” senza prendere quindi provvedimenti.
«Ammetto le mie colpe, ma sono stanco -ha poi spiegato Vettel – di dover disputare sempre gare in rimonta. La macchina ad Austin è andata bene. E’ una buona notizia. Purtroppo c’è voluto troppo tempo. La si può vedere come una buona notizia, ma anche come una meno buona. Se per andare bene siamo stati costretti a tornare ad una monoposto utilizzata tre o quattro mesi fa, la competitività di oggi non può essere considerata una storia positiva. Credo sia molto importante capire cosa non ha funzionato, ci sono molti compiti a casa da fare. Penso che ci saranno diverse questioni da risolvere durante l’inverno, aspetti che riguardano tutti noi, me incluso».
Alcune frasi pronunciate da Sebastian hanno lasciato degli interrogativi senza risposta, almeno per ora. Il pilota ha patito la scomparsa di Sergio Marchionne? Si direbbe di sì, gli è mancato l’uomo forte sul quale appoggiarsi. Anche se Maurizio Arrivabene non gli ha mai limitato il suo appoggio. Anzi, nei momenti difficili, lo ha sempre aiutato e incoraggiato. Ora il compito della Ferrari è quello di concludere il campionato nel migliore dei modi, cercando, senza più pensare troppo al titolo piloti, di ottenere risultati che diano il morale necessario per prepararsi al meglio per il 2019, sperando così di ritrovare in Vettel quel pilota di talento e di determinazione che è sempre stato.
Infine Hamilton. Voleva vincere, aveva il successo a portata di mano ma ha voluto strafare, spingendo al massimo quando aveva ancora gomme fresche, portandole così al limite delle prestazioni. La Mercedes a fronte di una situazione di rischio ha preferito adottare una strategia diversa con due soste per l’inglese. Se vediamo solo ai risultati cronometrici, Lewis è arrivato terzo, con poco più di due secondi di distacco da Raikkonen. Con una sosta in più valutabile in circa 20”. Quindi, se si fosse limitato a fare la sua gara regolare, avrebbe stravinto. Ma gli mancano solo 7 punti da accumulare nelle tre corse che restano da disputare per conquistare il suo quinto titolo.
Già in Messico potrà raggiungere il suo obiettivo.
C’è, però, un retroscena da valutare. La FIA, dopo aver esaminato i cerchi delle ruote della Mercedes che molti nel paddock ritenevano non regolamentari perché paragonabili all’uso di appendici aerodinamiche mobili, li aveva omologati con una motivazione ridicola se non scandalosa: «Sono soltanto leggermente irregolari perché non hanno un’influenza pesante sulle prestazioni delle vetture». Poi, Charlie Whiting e i suoi uomini si sono resi conto di essersi esposti a critiche pesanti. E hanno obbligato la Mercedes, prima della gara a chiudere con una specie di silicone i buchi incriminati nei cerchi. E, guarda caso, Bottas non è mai stato competitivo, mentre Hamilton ha sopperito con la sua bravura al deficit di prestazioni, ma non ha vinto interrompendo una serie di quattro successi consecutivi. Quindi, è la Ferrari che è migliorata o la Mercedes che ha dovuto fare marcia indietro? La risposta domenica nel GP del Messico.
Cristiano Chiavegato