“Non importa quanto corri, ma dove corri e perché corri”. Se andate su Google e ricercate le frasi celebri di Zdenek Zeman, ne troverete a bizzeffe, a dimostrazione di quanto l’allenatore boemo, in più di quarant’anni di carriera, abbia dispensato perle di saggezza, di nonsense, di provocazioni. Sono stati anche anni di battaglie, contro il doping, con entrate a gamba tesa contro la Juventus, ma in generale contro il marcio del calcio, che si annida ovunque.
Ora Zeman, a 70 anni, siede sulla panchina del Pescara in serie B. Non avvolge più il suo viso rugoso con il fumo che esce dalle perenni sigarette, anche se non ha perso il suo approccio compassato alla partita che affronta con lo sguardo di una sfinge. Al massimo gli compare un beffardo sogghigno. Nulla più.
Perché parliamo di lui? In questi giorni ha vissuto pericolosamente in panchina, in bilico tra esonero e riconferma, con una squadra che non sembra più una squadra di Zeman (tanti gol e difese allegre), un po’ ansimante in mezzo a una classifica che lo distanzia equamente tra promozione e retrocessione. Le polemiche con il presidente della società abruzzese sono pesanti (il merito: una squadra con troppo affollamento di giocatori) e neppure l’armistizio siglato tra i due porterà a una pace sicura.
La verità è che il tecnico boemo sembra ormai vivere del ricordo di ciò che è stato. Un rivoluzionario, un teorico del calcio nuovo, ben prima che arrivasse Sacchi, bandiera di chi ha ancora negli occhi le prodezze e il gioco del Foggia di tanti anni fa. Incantava, Zeman, con tattiche e parole: mai banale, sempre misterioso, padrone con la sua ironia dei media, capace di giocarseli con maligna serenità. Un innovatore, ma non un vincente. O almeno, un vincente a piccole dosi, visto che sfiorò lo scudetto una sola volta, con la Lazio, nella stagione 1994-95 (secondo posto).
Oggi naviga nell’anonimato di una categoria che ha archiviato le sue innovazioni (soltanto cinque anni fa con Insigne, Immobile e Verratti dominava la B lanciando tre gioielli purissimi), quasi impotente davanti all’avanzare degli anni, probabilmente incapace di opporsi alla valanga giovanile che il campionato cadetto esprime quest’anno. Zeman, dove corri? E’ una domanda che si pongono in tanti, primo tra tutti Sebastiani, presidente del Pescara, che si era convinto, ancora una volta, di giocare la sicura carta del tecnico boemo pur di vincere nuovamente il campionato.
E’ difficile pensare a Zeman fuori gioco, come lui sapeva benissimo mettere l’avversario con il 4-3-3 coraggioso e splendente, ma a volte i rivoluzionari devo sapere quando è giunto il momento di fare il famoso passo indietro. Non vorrebbe dire oblio, perché a lui si rivolgerebbero tutti, comunque, per giudizi, sferzate, polemiche, appuntite critiche e considerazioni. Ma non è bello vederlo indossare un vestito sdrucito. Una volta disse. “Se fosse per me mi confermerei sempre”. Erano i tempi di Cragnotti presidente della Lazio, ora sono i tempi di guardarsi dentro.
Sergio Gavardi