Il rinvio di una sentenza non è mai un bel segno. Figurarsi il rinvio del rinvio. Ma quello del TAS, il Tribunale di Arbitrato Sportivo riunito a Losanna per la causa Semenya-Iaaf, che ha rinviato la decisione fissata il 26 marzo al “tardo aprile”, riguarda “il processo sportivo del secolo”.
Si dirime su un diritto che farà giurisprudenza, si basa su tante diverse argomentazioni, umane, scientifiche e anche etiche. Ha ragione la mezzofondista sudafricana Caster Semenya, 28 anni, due volte campionessa olimpica e tre volte mondiale degli 800 metri che produce talmente tanto testosterone naturale da avvicinarsi ai valori dei colleghi maschi e non vuole intervenire biologicamente sul proprio status per rientrare nei canoni dettati dalla Iaaf per gareggiare con le donne?
Oppure ha ragione il governo dell’atletica che vieta alle donne di gareggiare nelle prove superiori ai 400 metri quando abbiano livelli di testosterone nel sangue superiori a 5 nanomoli per litro, quando il limite di genere non supera valori oltre le 2.5 nanomoli? È più legittima l’eccezione di Semenya e di una decina di atlete come la keniota Wambui, la burundiana Niyonsaba l’indiana Dutee Chand, o mantenere regole certe, comuni e impedire chiari squilibri nella lealtà agonistica? Quale delle due posizioni, in definitiva, è più discriminante?
Ovviamente, quando entrano in scena gli avvocati, il discorso si allarga a dismisura, moltiplicando domande, istanze, perplessità e problematiche. E’ giusto e sano sottoporsi a cure farmacologiche che prevedono pesanti effetti collaterali per rientrare nel genere donna definito dalla Iaaf? Il fine è forse farle gareggiare come uomini? Ovviamente, la Women Sport Foundation, guidata dalla pioniera del sindacato tenniste professioniste e promotrice di mille iniziative per la liberazione della donna, Billie Jean King, decine di associazioni impegnate nella lotta per la parità di genere e il governo sudafricano hanno trasformato il caso da sportivo a politico.
Un caso spinoso. Che farà la storia come in passato Bosman per i trasferimenti dei calciatori in paesi diversi, Pistorius “l’uomo più veloce senza gambe” e Butch Reynolds – primatista per 11 anni del record dei 400 piani – che partecipò ai Trials violando con una sentenza del tribunale la sospensione sportiva per doping, riuscì a disputare l’Olimpiade e ottenne davanti alla Corte Suprema un risarcimento danni da 27,3 milioni di dollari dalla Iaaf.
Contro la Federazione atletica mondiale si sono espressi in senso negativo anche molti medici. Cara Tannenbaum, professore di medicina e farmacia all’Università di Montreal, Canada, ha dichiarato alla rivista medica BMJ: «Per diventare un buon atleta bisogna possedere un alto libello di testosterone, essere alti o avere dei piedi grandi, tutte caratteristiche che possono essere ugualmente considerate come un vantaggio genetico”.
Puntualizzando: “Se si escludono dalle gare atlete donne che hanno geneticamente alti livelli di testosterone impediranno anche agli uomini molto alti di giocare a basket?”. E, insieme alla dottoressa Sheree Bekker dell’università di Bath, in Inghilterra, che firma con lei l’articolo sulla rivista scientifica, ha messo in dubbio che gli alti valori di testosterone registrati in alcune atlete donne influenzino in modo così decisivo i risultati sportivi. Come sostiene la Iaaf dopo lo studio particolareggiato del 2017 che ha dato, per ora, lo sto a Semenya e compagne.
*articolo ripreso da agi.it