Strano che nessuno, mi sembra, abbia legato lo scudetto vinto da Venezia a quello di Sassari di due anni fa. Due romanzi bellissimi, più ancora che sorprese. Certo, parlando di Reyer, la storia diventa la strada più suggestiva per raccontare questo ritorno al titolo dopo 74 anni. In realtà, è tornata in serie A nel 2011: quando Luigi Brugnaro la prese nel 2006 in serie B, aveva… un solo giocatore. Oggi è la società più grande d’Italia, l’unica con uomini e ragazze in serie A, con il vivaio più importante del Paese. La Dinamo Sassari aveva debuttato nella massima serie un anno prima, nel 2010, nel momento in cui stava prendendo il comando Stefano Sardara. Praticamente hanno impiegato lo stesso tempo per vincere il titolo ma, tutte e due, partendo dalla società, dall’identità del territorio, dal sociale anche nel marketing. Se esiste una Reyer di A femminile, c’è una Dinamo in serie A di basket in carrozzina. Non esistono solo i soldi e il mercato per vincere. Che lezione per il basket italiano! La differenza, oggi, è che Venezia può competere dalla prima giornata del prossimo campionato per rivincere il titolo così com’è, mentre Sassari era già dilaniata dalla rottura del rapporto personale tra presidente e allenatore. Che hanno finito per perderci tutti e due. Una storia anche a Brugnaro potrebbe far bene conoscere.
Del trionfo Reyer, mi ha colpito anche la prestazione decisiva di Tomas Ress, che aveva vinto sei scudetti a Siena. Ci sono tanti ex senesi: Ortner, campione d’Italia, ma anche Haynez e Viggiano, protagonisti di una stagione straordinaria, finita a un tiro allo scadere dal titolo. Questi echi della Mens Sana diventano sirene con l’approdo di Simone Pianigiani a Milano. L’ex c.t. ha appena conquistato il titolo israeliano con l’Hapoel Gerusalemme e la cosa, secondo me, fa tutta la differenza del mondo. Non perché un tecnico sia più bravo se vince, visto che fa esattamente le stesse cose anche quando non ottiene il risultato sperato. E’ fondamentale, per Pianigiani e per l’opinione pubblica, perché l’idea che non fosse così vincente lontano da Siena ha prosperato per anni. Del resto, la sua storia dice che dopo aver dominato il campionato per sei stagioni con Siena, ha poi ha ottenuto risultati relativi in azzurro, resistendo solo pochi mesi sulla panchina del Fenerbahce (poi possiamo aprire discussioni infinite sul valore dei piazzamenti dell’Italia e il modo in cui li abbiamo raggiunti, ma la sola volta in cui ha centrato l’obbiettivo condiviso alla vigilia, quello logico non da sparate tipo “è la Nazionale più forte di sempre”, è stato nel 2015, quando poi non gli è stata data la possibilità di allenare al preolimpico). Mi auguro che l’arrivo di Pianigiani a Milano chiuda definitivamente un’epoca di sospetti sportivi, mai davvero investigati dalla Fip e provati sulla Mens Sana di Ferdinando Minucci, che hanno gettato una cappa di “odio” sportivo e oblio sulla vicenda tali da cancellare nella memoria cestistica collettiva un dato di fatto inoppugnabile. La Siena di Pianigiani, per molti anni, ha giocato una pallacanestro straordinaria, inarrivabile per gli standard a cui ci siamo abituati oggi, e non perché la Montepaschi fosse solo la più ricca e avesse i giocatori migliori. Gli Stonerook, i McIntyre sono migliorati 100 volte diventando atleti di alto livello continentale proprio per il lavoro estenuante, meticoloso, quotidiano che produceva una esecuzione cestistica vicino alla perfezione e mentalmente elevatissima, senza mai una pausa. Ridiamo a Pianigiani quel che s’è meritato sul campo considerando che al di fuori, non essendo stata sollevata alcuna rilevanza penale per quello che riguarda l’accusa di evasione fiscale nei suoi confronti legata all’inchiesta Time out sulla Mens Sana e scontata la burla dell’inibizione di 30 giorni inflittagli dalla Fip nel 2016, contemporanea alla risoluzione contestuale del contratto da c.t, nessuno può imputargli nulla. Sarebbe bello ed etico che la Fip aprisse un’inchiesta su quello che accadde davvero ai tempi della grande Siena senza gli errori ed omissioni di quegli anni ma, anche, senza cercare una colpevolezza a tutti i costi, come nel caso degli scudetti revocati e poi restituiti per vizio di forma dato che non è stato concesso alla Mens Sana di difendersi.
Ma in tutto questo, Pianigiani non c’entra. Alcuni tifosi di Milano gli hanno promesso guerra, li conquisterà in fretta. Il fatto che arrivi all’Olimpia da vincitore per la prima volta dopo gli anni senesi (al netto di una coppa di Turchia con Dalmonte in panchina) è una cosa psicologicamente e tecnicamente fondamentale per il suo successo. Poi resta il problema sollevato tempo fa proprio su Sportsenators: il fatto che a Milano non esista un tramite nelle “basketball operation”, autonomo e potente tra il presidente e l’allenatore, renderà più difficile questo matrimonio. Esattamente come questo è stato il problema principale tra Pianigiani e Petrucci in Nazionale.
Parlando della quale non si può tacere dell’ addio di Ettore Messina dopo l’Europeo di settembre. Oddio, non ci sarebbe nulla da dire. E’ logico che in un momento di svolta epocale del calendario delle squadre nazionali, impegnate anche durante l’inverno, avere un c.t. che lavora nella Nba volesse dire appaltare quasi esclusivamente tutte le operazioni ad un altro tecnico fino al Mondiale del 2019. Eventualità che probabilmente non piaceva né a Messina, che se allena lo fa per davvero, né a Petrucci, che di assegnare di fatto la Nazionale ad un altro tecnico italiano tra quelli a disposizione non ne vuole sapere. L’unica cosa che mi chiedo è: ma non era evidente da subito che sarebbe finita così? Non era prevedibile che Messina, nella Nba o in Eurolega, non fosse disponibile per le finestre invernali delle nazionali? In altre parole, cambiare tre c.t. in due anni, per quanto bravi e prestigiosi, non è l’esatto contrario rispetto a una logica programmazione azzurra quindi all’ottenimento di risultati positivi? Magari anche nell’Europeo di settembre?
Luca Chiabotti