Preoccupato per l’Italia del basket in vista dell’Europeo che comincia a fine mese? Si. Pur navigato da anni di tornei di preparazione nei quali i risultati degli azzurri sono stati altalenanti e spesso, poi, non congrui col risultato ottenuto nella manifestazione ufficiale, le tre sconfitte consecutive, con il brutto che s’è visto soprattutto al torneo di Tolosa nel quale l’Italia ha perso nettamente con Belgio e Francia, ha lasciato il segno. Non solo in chi ha visto le partite ma anche nel c.t. Ettore Messina che ha richiamato un giocatore già scartato, Marco Cusin, per dare un po’ di sostanza sotto canestro, cosa mai avvenuta in Nazionale se non a fronte di qualche grave infortunio. In queste ore l’Italia sta disputando l’ultimo test pre-europeo al torneo Acropolis di Atene. Ha perso al debutto contro la Serbia di Sasha Djordjevic dopo una partita giocata decisamente bene nel primo tempo e poi conclusa senza mollare ma senza neppure fugare i grandi dubbi nati dopo le sconfitte del weekend.
Il primo dubbio, generico, è che l’Italia non ha ancora una sincera identità tecnica e una catena della leadership funzionante. A parole, soprattutto dopo l’infortunio di Gallinari e l’assenza di un top player come Alessandro Gentile, dovremmo essere una “squadra operaia”, sotto stazza, che quindi deve muovere la palla in attacco indefessamente per costruire tiri ad alta percentuale e difendere in ogni azione del gioco come un gruppo di assatanati. Cose che si sono viste a tratti e mai quando gli avversari hanno deciso di prendere in mano la partita, neppure contro i serbi che hanno mangiato in amen il nostro vantaggio di 7 punti ricacciandoci immediatamente, con una leggera accelerata, a -9. Il commento generale è che se l’Italia tiene in difesa, come ha fatto con la Serbia molto meglio che con Belgio e Francia, nonostante l’assenza di guardie particolarmente efficaci nel fermare le penetrazioni uno contro uno degli avversari (cosa di conseguenza mette in crisi anche il settore lunghi, costretto a chiusure e rotazioni letale contro i pivot avversari di stazza) il più è fatto. Perché poi, in attacco, è solo questione di tiro ed è auspicabile e prevedibile che all’Europeo Gigi Datome non avrà le pessime percentuali delle ultime 4 gare (14/40) anche prendendo ottime iniziative, e sperando che sia Nicolò Melli che Daniel Hackett mostrino maggiore efficacia e personalità nella metà campo offensiva. Finora solo Marco Belinelli ha fatto quello che doveva, pur sparacchiando a salve nel finale equilibrato con la Serbia (0/5 da 3 dopo essere partito con 4/6).
Io credo che, considerato senza una difesa decente non si va da nessuna parte soprattutto se il talento in attacco è limitato, sia l’attacco l’aspetto dove l’Italia può dare una svolta positiva al suo gioco. Il che è piuttosto logico: l’Italia di oggi ha perso tre dei migliori 4 realizzatori dell’ultimo Europeo oltre al capocannoniere del 2103. Vero che Gallinari e Gentile avevano già perso quota con Messina rispetto ai tempi di Pianigiani, come risulta dalle cifre del preolimpico, ma sono comunque assenze che vanno metabolizzate. Non abbiamo particolari ansie per questo anche se, nell’eterno discorso sulla leadership e come si costruisce, segnare i tiri importanti di una partita, finora spesso sbagliati o rifiutati dai big, è la strada più breve per ottenerla. Quindi, l’importante è fare canestro, soprattutto da parte dei giocatori più carismatici, soprattutto quando la squadra costruisce loro un buon tiro, poi sono convinto che, arrivato l’Europeo, l’adrenalina e la grinta che giocatori come Belinelli, Hackett, Aradori, Datome sanno mettere quando le partite conteranno più che in un torneo di preparazione potrà darci una mano decisiva in difesa. Già la gara con la Serbia è stata più incoraggiante rispetto alle precedenti.
Ettore Messina, in una bella intervista fatta da Sky, dice di aver individuato nella difesa che è mancata nei possessi cruciali di ogni singola partita, quindi non nella sfiga, nella stanchezza, negli infortuni, il motivo per cui l’Italia negli ultimi anni ha sempre perso, magari di poco, le sfide chiave per andare all’Olimpiade, conquistare la semifinale all’Europeo o staccare un pass per il Mondiale. Questo nonostante l’attacco spumeggiante implementato dal suo predecessore, Simone Pianigiani, addirittura il più prolifico dell’Europeo 2015 da 85.8 punti di media, più addirittura della Spagna (al preolimpico siamo scesi a 73, nelle ultime 4 partite ci siamo fermati a 63). Senza Gallinari e Gentile, difficile pensare di tornare a qual livello. Quindi siamo d’accordo che occorra una difesa ferrea per sopravvivere. Ma partite come quella contro la Serbia le abbiamo perse più in attacco, nella gestione dei palloni post vantaggio. Sembra un paradosso, ma avere giocatori capaci di essere dei killer quando hanno un tiro aperto nei momenti chiave di una gara è il primo step per costruire una squadra vincente anche in difesa.
Meditando sull’eterno dilemma su cosa, attacco o difesa, ti fa vincere le partite, non ho potuto non pensare alla svolta netta che Petrucci ha voluto dare alla nostra Nazionale investendo Meo Sacchetti del ruolo di c.t. per i prossimi due anni. Sarà Meo che dovrà portarci, presumibilmente senza i giocatori di Eurolega oltre a quelli Nba (magari Milano che ha una montagna di giocatori e molti italiani in fondo alla panchina, qualcuno lo mollerà all’Italia durante le finestre invernali delle nazionali…) al Mondiale del 2019. Sacchetti è l’esatto contrario di Messina e Pianigiani, come filosofia tecnica e gestione del gruppo. E sicuramente affronterebbe il problema di una squadra che difende così così aumentando il numero di possessi e, quindi, i tiri in attacco. Strada pericolosissima anche se di gran moda dopo i successi di Golden State e, perché no, l’incredibile scudetto di Sassari del 2015. Ma forse è l’unica percorribile coi giocatori che avrà a disposizione considerando che Aradori, Della Valle, speriamo Ale Gentile, Stefano Tonut sono tutti migliori attaccanti che difensori, quindi devi portarli a tirare molto sdrammatizzando gli errori anche per dare più fiducia a una categoria, il giocatore italiano, che per mille motivi sembra averla smarrita. Perché questo funzioni sono indispensabili due cose: la prima, come fece Sassari nei playoff di due anni fa, garantire almeno nei possessi decisivi della gara un livello più che decente di difesa, anche se in generale hai già concesso 90 punti agli avversari. La seconda è un grande playmaker. La pallacanestro di Sacchetti, e quella di D’Antoni o Kerr, non possono sopravvivere senza un regista pericoloso in attacco. L’Italia non ce l’ha, o almeno, non ha un grande realizzatore-penetratore-creatore di vantaggi per i compagni da sfruttare con degli assist come è necessario in questo tipo di pallacanestro. Non lo sono nemmeno Hackett o Filloy che sta facendo bene in azzurro. Ecco perché non mi stupirei, anche se logicamente sarebbe una follia, che Travis Diener, una volta rimesso in condizioni di giocare, finisse per tornare in Nazionale dopo l’esperienza sprecata dall’Italia nel 2013. Nella speranza che i Mussini, De Nicolao, per arrivare fino a Candi possano salire di molti gradini in fretta.
Ma questo è ancora futuro. Anche perché c’è un Europeo da giocare che, a differenza che nel passato, è fine a se stesso. Non dà, cioè, nessun altro obbiettivo di riserva rispetto alle medaglie: non qualifica al Mondiale, non dà una chance ulteriore per arrivare all’Olimpiade. Se il sesto posto del 2015 ebbe il sapore comunque di una conquista, il torneo preolimpico, stavolta vale soltanto lottare per le medaglie. Molte nazionali hanno perso i loro giocatori migliori, alcune come la Serbia o la Francia ben più di uno. Come noi. Possiamo provare a giocarcela ma i dubbi vanno chiariti prima della palla a due del debutto europeo del 31 agosto contro Israele.
Luca Chiabotti