Un lampo, un dritto molto particolare che lascia a bocca aperta tutto il palasport facendo schizzare all’impiedi diecimila persone incredule, il ruggito del leone mille volte ferito e mille volte risorto (Matteo Berrettini, ricordate primo storico finalista italiano di Wimbledon 2021?), il colpo anomalo, a sorpresa, che colpisce alla punta del mento il tenace avversario (Thanasi Kokkinakis), il primo singolare di Italia- Australia che, dopo due ore e mezzo di equilibrio,
cambia improvvisamente e decisamente rotta in due games veloci e termina 6-7 6-3 6-4, lanciando in modo ancor più netta la volata del tenore di Malaga e del tennis mondiale (Jannik Sinner) che col 6-3 6-4 piazza implacabile il 9/9 su Alex de Minaur (“Sembra un puzzle”, commenta il numero 1 australiano), portando l’Italia alla seconda finale consecutiva di
coppa Davis.
Solita miniera di emozioni di uno sport senza pronostico. Perché ora, dopo il 2-0 col’Australia – come 12 mesi fa sotto il traguardo che gli azzurri non tagliavano dal 1976 -, tutto sembra facile e annunciato. Come la finale di oggi alle 16 (diretta Rai2 e Sky) contro gli olandesi Van de Zandschulp e Griekspoor, battuti senza il Profeta dai capelli rossi
nelle qualificazioni di settembre a Bologna.
FISICO E DIFESA
Berrettini è rientrato sul Tour a marzo, sei mesi dopo l’ennesimo infortunio e, con quelle gambe senza muscoli e quelle caviglie sottili che non l’aiutano a spingere e lo costringono a sbracciate ancor più veementi (e pericolose) per scaricare tutti i cavalli del motore, vuole tentare un altro sprint verso il vertice.
Cercando alternative, ha salutato il coach storico, Vincenzo Santopadre, sostituendolo invano con l’ex co-coach di Rafa, Francisco Roig, e focalizzandosi ora su fisico e difesa, tanto da assoldare per il prossimo anno Umberto Ferrara, l’ex preparatore atletico di Sinner, direttamente coinvolto nella vicenda doping non ancora conclusa di Jannik. Fisicamente il
28enne romano sta meglio: nel doppio con l’Argentina ha risposto più di Jannik (!) e contro Kokkinakis ha tenuto tanto da fondo.
“Il primo set l’avrei potuto vincere sei volte, ma il tennis è così. Ho dovuto credere per forza ai ragazzi e allo staff. Insistevano che stavo giocando meglio ed avrei meritato più dell’avversario, e che avrei portato a casa il match se
avessi continuato a lottare, dopo quei tre set point mancati. E ci ho messo il cuore, anche per l’Italia e tutto il pubblico che mi sosteneva”. Tutti guardano alla potenza devastante del servizio che tocca i 225 all’ora e ai 17 vincenti di dritto, ma Matteo il match lo indirizza col break del 4-3 del secondo set, di resilienza da fondo: “La difesa è importantissima
perché poi se recupero quelle due-tre palle, servo molto più tranquillo. E’ importante la resistenza ed è importante lo slice di rovescio, che viene dalla terra e da due infortuni, a 11 anni per una frattura alla base di una falange e poi per un’infiammazione al polso, sempre sinistro. Mi fa respirare, è utile in questo tennis tutto bum-bum”.
MIRACOLO
Ritrovarlo dopo le tante spallate del destino è già un miracolo. Contro Kokkinakis gioca il miglior match in azzurro, anche per importanza. E quel dritto, “in back di sopravvivenza, come lo faceva Gabrio (Castrichella), che diventa vincente come fa Matteo che ce l’ha come dote naturale”, come sottolinea Santopadre sempre collegato all’amico? Quel dritto impensabile, imprendibile e miracoloso, che da difensivo, tirato dall’estremo angolo destro, diventa offensivo e imparabile per l’avversario? Nei momenti bui Matteo non aveva osato sognarlo. Mentre per Jannik vincere la Davis sarebbe “la ciliegina sulla torta”.
Vincenzo Martucci (Tratto dal messaggero del 24 – 11 – 2024)
Vincenzo Martucci