Un caro e amato collega tutte le volte che valutava l’impatto di una notizia sportiva sull’economia del giornale, esclamava una frase, tra noi giovani di allora, diventata storica: “Vale più un cross di Roccotelli che tre medaglie d’oro nello slittino”. Roccotelli era l’ala dell’Ascoli dei record, quello dell’effervescente presidente dai calzini
rossi, Costantino Rozzi, e del timido allenatore-stratega Mimmo Renna, dell’ideologo del gioco Adelio Moro, dello stantuffo di fascia Giancarlo Pasinato, dell’elegante Claudio Ambu, attaccante con il pedigree Inter. Dalle carte con i bordi ormai ingialliti quella squadra ci viene restituita intatta oggi, perché il confronto è inevitabile con un’altra squadra da record che per la B segna un punto fermo. Quanto sarà superabile lo scopriremo nel prossimo secolo.
Perché se l’Ascoli di Mimmo Renna ha segnato il suo cippo di gloria negli anni Settanta, il Benevento di Filippo Inzaghi lo segna ora nel Duemila. Un punto in più di quell’Ascoli (rapportato al diverso punteggio attribuito ora alla vittoria, tre punti contro due), ma non sono i numeri che spiegano questa marcia trionfale visto che solo un cataclisma potrebbe azzerare 19 punti di vantaggio sulla terza (fuori dalla A). Nelle prossime tredici giornate il Benevento potrebbe tranquillamente prendersi una vacanza, per altro meritata. Ma solo l’idea rende furibondo Filippo Inzaghi, il guru degli stregoni di Benevento (così vengono tradizionalmente chiamati), l’uomo che resta sempre lo stesso. Killer del gol quando imperversava nelle aree di rigore avversarie con le maglie di Juve e Milan (per lo più), killer del campionato che è casa sua visto che è a un passo dal conquistare la sua seconda promozione, dopo quella ottenuta nel post Milan, a Venezia. Di Superpippo si potrà dire qualsiasi cosa, non che non abbia l’istinto della vittoria, coccolata in compagnia di grandi campioni, affinata ora che è seduto (si fa per dire) in panchina. Il morso del cobra gli è rimasto addosso e non è semplice (mai) trasmetterlo a una squadra creando l’ambiente giusto perché diventi parte del Dna del gioco. “Il Benevento gioca facile”: è una delle frasi simbolo di Inzaghi, ma che rappresenta bene la filosofia dell’ex attaccante (anche campione del Mondo nel 2006 in Germania con l’Italia di Lippi) non legatissimo all’isteria imperante degli schemi. Ha creato un gioco ai quali tutti si adattano con semplicità e la sostituzione dell’uno non determina scompensi o variazioni. E così il Benevento, dopo la prima ubriacatura infelice nella serie A di tre stagioni fa, sta già facendo i preparativi per l’ingresso trionfale nella massima serie, con un utile bagaglio di esperienze per evitare gli errori del passato. Inzaghi stesso sa che la squadra campana è il passaporto ideale per ritornare ad essere un predestinato della panchina anche di prima fascia. Dopo la prematura esperienza al Milan (non così brutta considerando l’ambiente e la situazione economica di quella stagione) e il deficitario transitare sulla panchina del Bologna, per Superpippo c’è la consapevolezza di essere diventato un allenatore vero. Come il fratello Simone alla Lazio. Nell’unitissima famiglia piacentina papà e mamma Inzaghi stanno spolverando le bottiglie di bollicine. Potrebbe essere una primavera frizzantissima.
Come l'Ascoli di Renna negli anni Settanta ora la squadra del grande Killer del MIlan sta dominando la scena: per rilanciare col suo "gioco facile" anche Filippo