L’antica, reiterata, crociata di Rafa Nadal contro le superfici dure è giusta oppure è strumentale? Il tennis dovrebbe interrogarsi sul tema tanto caro a uno dei suoi protagonisti più famosi, importanti e vincenti, peraltro il simbolo dell’agonista ideale. Che però, ultimamente, con le ginocchia scricchiolanti, sta dribblando sempre più i campi più frequentati dal tennis moderno. Il mancino di Maiorca, campione di 11 Roland Garros, ma anche di due Wimbledon (su erba) un Australian Open e tre Us Open (sul duro), ha ragione, perfettamente ragione Ahinoi, lo show business, spinto dalla praticità yankee, ha preso decisamente il sopravvento, dagli Us Open del 1978. Quando lo Slam a stelle e strisce, dopo essere transitato dall’erba (1881-1974) alla terra (1975-1977), ha sposato decisamente il cemento.
Seguito, una decina di anni dopo, nel 1986, dagli Australian Open. Perché il cemento che non è vivo come le superfici storiche di racchette e palline, e rimanda rimbalzi sempre uguali, ma non pretende una tecnica particolare come terra ed erba, va bene per tutti gli stili, decide il punto, in media, entro quattro scambi, e, soprattutto, vanta il miglior rapporto costo-rendimento per gli organizzatori. È facile da impiantare, facilissimo come gestione e manutenzione, ed è anche il più versatile dei campi da tennis, perché aiuta la pratica di altri sport.
Fascite plantare, lesioni del tendine peroneo, fratture e micro-fratture, tendinite di Achille, distorsioni di ginocchia e caviglie e, un malanno specifico: la “gamba” da tennis: la rottura del muscolo gastrocnemio (i “gemelli” che insieme al soleo fanno piegare il piede), esattamente dove si congiungono muscolo e tendine, derivante da contrazioni forzate dei muscoli del polpaccio, per i frequenti, rapidi, stop e movimenti di partenza.
Come tutti gli sport, anche il tennis, salendo di livello, esaspera le situazioni fisiche, le forza, le disequilibra. E ginocchia e caviglie sono decisamente le parti anatomiche più a rischio sulle superfici che non consentono uno scivolamento naturale, come il cemento. Novak Djokovic non illuda: solo lui rulla sul duro come sulla terra rossa. Gli altri subiscono l’attrito col terreno e sollecitano estremamente le caviglie.
Perciò, ha ragione Rafa. Che, dopo il ritiro da Indian Wells per il ginocchio destro disastrato, ha detto le stesse identiche cose che diceva nel 2013: “L’Atp si preoccupa troppo poco dei giocatori. Per le future generazioni sarebbe meglio vedere una vita tennistica meno aggressiva, non solo per quello che succede durante la carriera pro con la racchetta, ma anche dopo. Per come è messo il fisico quando il tennis è finito.
Sarebbe bello, poi, giocare a tennis o a calcio con gli amici, ma non credo che sarà possibile perché i campi duri sono troppo duri per i nostri corpi e ci rendono difficile evitare gli infortuni. Il tennis è l’unico dei grandi sport dove bisogna giocare sul cemento, e non è un argomento per i giocatori, ma per i dottori. L’Atp dovrebbe cominciare a pensare a come allungare la carriera dei suoi atleti. Non riesco a pensare al calciatori che giocano sul cemento, non posso immaginare alcun altro sport con movimenti così aggressivi come il tennis che si giochi su superfici aggressive come le nostre. Siamo l’unico sport al mondo che fa questo errore, e non cambierà”.
Rafa ha anche fatto riferimento a vecchi campioni che vanno in giro per i tornei dello Slam “camminando a fatica”. Come Boris Becker. Come tanti altri.
Già trentun anni fa uno studio specifico del professor Benno Nigg dell’università di Calgary, analizzando mille giocatori di tennis, aveva dimostrato che gli infortuni più gravi risultano da 5 a 8 volte superiori su superfici che hanno un alto attrito come l’asfalto e le superfici sintetiche, rispetto a quelle che permettono lo scivolamento. Se corri veloce e vuoi fermarti in fretta, devi far forza sul terreno e il terreno restituisce questa forza attraverso il tuo corpo, secondo la terza legge di Newton.
C’è poi il problema dei repentini e continui cambi di direzione. Che, su superfici con maggior attrito col terreno, sempre secondo quello studio particolareggiato, costringe l’atleta a bloccare il ginocchio in una posizione diversa, mantenendo più dritto, mettendo a rischio il legamento crociato anteriore. Nel 1979, la ricercatrice tedesca Von Salis-Soglio ha confermato che i giocatori di tennis hanno più infortuni alle gambe e alla schiena dopo aver giocato su campi duri piuttosto che su terra battuta. Nel 2005, gli studiosi sloveni Kristijan Breznik e Vladimir Batagelj, lo hanno confermato. Ma, come dice Rafa, “la storia non cambierà”. Quanto costerebbe ricreare e mantenere i campi di tennis in terra ed erba?