Succede, nella scheda tecnica dei tennisti, di trovare due allenatori. Succede più spesso con le tenniste, perché mamma o papà mantengono un ruolo fondamentale, anche se necessitano di un tecnico di campo, con le idee più fresche e specifiche. Ma succede anche coi tennisti, soprattutto ultimamente con la figura del super tecnico, da Ivan Lendl a Boris Becker, da Stefan Edberg a Ivan Ljubicic, da Juan Carlos Ferrero ad Andre Agassi, che arricchiscono il team. Vale anche per Kei Nishikori, il profeta del tennis con gli occhi a mandorla, che, dopo gli insegnamenti di Brad Gilbert, è uscito dalla Nick Bollettieri Academy portandosi dietro il tecnico locale, l’argentino Dante Bottini e, nel 2014, ha aggiunto al team il tattico-motivatore Michael Chang. Il primo tennista orientale a imporsi a livello mondiale, con nascita, crescita e bandiera Usa, ma genitori e abitudini “made in Taiwan”. Indimenticabile campione del Roland Garros 1989, fenomeno della gestione delle emozioni e delle situazioni di gioco, a dispetto di un fisico non eccelso, proprio come l’allievo Nishikori.
Nishikori è anche più fragile di Chang, in questo tennis sempre più fisico e potente. Si fa male e si ferma spesso, ma l’ultimo infortunio, al polso, ha confermato tutte le doti di freddezza e intelligenza dell’ex numero 4 del mondo del 2 marzo 2015, sulla scia della finale degli Us Open 2014, che, grazie alla finale nel Masters 1000 di Montecarlo, recupera la poltrona 22 Atp Tour. Dopo un torneo trionfale, nel quale ha battuto Berdych (n. 18 del mondo), Cilic (3) e Sascha Zverev (4), ed è stato l’unico a sorridere insieme allo straordinario Rafa Nadal. Troppo forte per lui e per tutti, ma al quale ha tenuto testa per metà primo set, strappandogli un break, anche se è finito subito dopo fuori giri: “Mi rimanda sempre troppe palle indietro, ho finito la benzina, ho saputo gestire la situazione, anche se il mio corpo era provato, soprattutto le gambe erano molto pesanti, dopo tre duri set per tre giorni di fila”. A 28 anni, il giapponese “made in Usa” ha vinto comunque, perché si è saputo soprattutto gestire al meglio sulla strada del recupero che, oggi, a tre mesi dal rientro alle gare, dopo il brusco stop di agosto, lo porta a dire: “Questa settimana mi aiuterà molto come fiducia, penso di aver giocato finalmente bene e sono quasi lì, al mio livello”. Soddisfatto di aver saggiato le sue condizioni, senza stress, nei Challenger di Newport Bech e Dallas, e di aver resistito a tutte le sirene che lo volevano in campo prima.
Kei è sempre a rischio: “Devo monitorare la situazione del polso, ogni giorno, ogni settimana, non mi sono operato, ma il polso non è al 100%”. Kei, per il suo gioco regolare da fondo campo e i suoi piedi veloci, pur non essendo nato sulla terra battuta, si trova bene sul rosso, come dicono i due successi a Barcellona – dove sbarca adesso ed è dalla stessa parte di tabellone di Nadal -, che si è aggiudicato nel 2014 e 2015, unico non spagnolo a riuscirci, nell’albo d’oro del Conte de Godò, insieme all’argentino Gaston Gaudio. Era il periodo migliore del giapponese che, a Madrid, in altura, era in vantaggio in finale per un set e un break, stava mettendo in grave difficoltà Rafa, ma si rifece male alla schiena e si ritirò. Ed è probabile che, proprio per salvaguardare il fisico, la terra sia la superficie che potrà dare le migliori soddisfazioni a Nishikori.
Emblematico il suo ritorno dall’inferno, utilizzando inizialmente una racchetta molto più leggera di quella da gara e palline depressurizzate, come quelle dei bambini. Battuto al rientro, già nel primo turno di Newport Beach dal numero 214 del mondo Dennis Novikov, lo ha superato sette giorni dopo, a Dallas, imponendosi poi in finale sull’altro statunitense McDonald (158). Invece di prendersi rischi nella campagna d’Australia, è rimasto a casa, s’è allenato, ed è arrivato in semifinale al neonato torneo di New York, dove ha ceduto solo per 7-6 al terzo set al potente Kevin Anderson. Poi ha lottato contro la freschezza di Shapovalov ad Acapulco, crollando di fisico dopo il primo set, ed è rimasto schiacciato da Del Potro a Miami. Ma è stato ancora bravissimo a dosarsi, svicolando anche dalla Coppa Davis contro l’Italia, e dando una lezione ai frettolosi colleghi Vip, Djokovic, Murray e Wawrinka, che, proprio per accelerare i tempi, li hanno allungati considerevolmente. Perché Kei Nishikori i suoi due coach li ascolta, e ne riceve un cocktail di informazioni ed attenzioni che, sulla terra, valgono doppio. Soprattutto in un panorama che, al di fuori di Rafa, con gli altri big a mezzo servizio se non addirittura fuori gioco, si presenta molto favorevole, da qui all’erba.
Vincenzo Martucci
(Tratto da federtennis.it)